In visita con la Prometeo Aitf Onlus al Liceo “Michelangelo“ di Cagliari

di Marcella Onnis

Da due settimane circa, la Prometeo Aitf Onlus ha dato ufficialmente avvio all’edizione 2013 del progetto “Sardegna – Donare per la vita”. Lo ha fatto con una delle azioni più caratterizzanti del suo operato: le manifestazioni nelle scuole, volte ad informare e sensibilizzare i giovani sui trapianti e sulla donazione di organi.
Venerdì 15 e sabato 16 febbraio
è stato il turno degli studenti della 3^, 4^ e 5^ del Liceo scientifico “Michelangelo” di Cagliari. Dopo il commento soddisfatto del presidente dell’associazione, Pino Argiolas, al termine della prima giornata («I ragazzi erano stati ben preparati dai professori e hanno partecipato molto, ponendo domande interessanti»), abbiamo deciso – incuriositi – di assistere al secondo incontro.

La manifestazione è cominciata con una breve presentazione da parte di Pino Argiolas e con la proiezione del filmato T.V.D. – Ti voglio donare, prodotto dal Centro nazionale trapianti (CNT). Le prime immagini con ragazzi ritratti in momenti giocosi e buffi hanno divertito gli studenti che, però, si son fatti via via più silenziosi e attenti man mano che il video entrava nel vivo per parlare del valore del Dono. Un valore che è diventato loro chiaro durante la testimonianza di un giovane trapiantato e della mamma di una donatrice: Marta Russo, che noi tutti conosciamo per le circostanze tragiche in cui è morta. Oltre alle esperienze umane, il filmato fornisce anche, per mezzo degli interventi di alcuni medici, informazioni su tutto ciò che è utile sapere in tema di trapianti: quando si rende necessario un trapianto, chi può donare, cosa si può trapiantare (organi, tessuti e cellule staminali), come avvengono donazione e trapianto, com’è la vita dopo il trapianto, l’importanza dello sport per un trapiantato, il problema delle lunghe liste di attesa per un trapianto e l’insufficienza di organi, da cui l’importanza di dire “sì” alla donazione … Tutto spiegato e raccontato con un linguaggio, anche visivo e sonoro, “fresco”, chiaro e preciso.

I temi toccati nel filmato sono stati ripresi e approfonditi nel dibattito seguito alla proiezione, al quale hanno partecipato, oltre a Pino Argiolas in rappresentanza dei trapiantati, i portavoce di tutti gli altri attori coinvolti nella preziosa “macchina” che consente di trasformare la dolorosa sconfitta costituita dalla morte di un paziente in un dono capace di ridare nuova vita ad un altro paziente: il dr Ugo Storelli (vicecoordinatore del Centro regionale trapianti – CRT), il dr Giacinto Atzori (urologo specializzato in trapianti di rene e operante presso l’ospedale “G. Brotzu” di Cagliari), il dr Matteo Runfola (chirurgo del Centro trapianti di fegato del “G.Brotzu”), la dr.ssa Maria Teresa Addis (prima coordinatrice locale delle donazioni e oggi direttore sanitario dell’ospedale Oncologico di Cagliari), Paola e Alberto Deiana (genitori di Elisa, la giovane donatrice che, nel 2004,  ha reso possibile il primo trapianto di fegato nell’Isola).

A rompere il ghiaccio dopo la proiezione del filmato è stato il dr Storelli, nella duplice veste di moderatore del dibattito e di “memoria storica dei trapianti della Sardegna”, come l’ha definito Pino Argiolas. Ricordando che quello di rene ha aperto la strada agli altri tipi di trapianto, ha ceduto la parola al dr Atzori, il quale ha subito chiarito che, mentre quello di fegato o cuore è un “trapianto salvavita”, quello di rene no: la sua funzione è, infatti, evitare al paziente la dialisi, restituendogli una normale vita lavorativa e sociale.

“Trapianto salvavita” – dicevamo prima – è, invece, quello di fegato. Quando questo si renda necessario l’ha ben spiegato il dr Runfola: sono tante le malattie che possono compromettere definitivamente questo organo e tante, di conseguenza, sono anche le persone che hanno bisogno di un nuovo fegato. Troppe per quello che è il numero di organi disponibili. Tant’è che – ha spiegato il chirurgo – è per via di questa esiguità che non si trapiantano persone di età superiore ai 65 anni, non perché non sia possibile o consigliabile. Da qui l’importanza di informare e di informarsi correttamente sulle donazioni: solo così si potranno abbattere le lunghe liste di attesa, solo così sarà possibile garantire quei meccanismi che consentono, ad esempio, i trapianti di urgenza (quelli in cui il primo organo disponibile in Italia viene subito riservato al paziente in fin di vita, a prescindere dal luogo in cui si trova). Un po’ di sgomento ha scosso gli ascoltatori quando il dr Runfola ha chiarito che questi trapianti si rendono necessari in casi quali quelli di epatite fulminante (che in 24-48 ore compromette per sempre il fegato) e che quest’ultima si può contrarre, ad esempio, mangiando funghi tossici. Il giovane medico ha quindi rimarcato che «il mancato consenso alla donazione è un’occasione persa, perché non è detto che la persona che attendeva quell’organo sopravvivrà fino all’eventuale arrivo di un nuovo organo». È successo anche nei giorni scorsi in Sardegna, ha ricordato dr Storelli (e, in proposito, vi invitiamo a leggere le dichiarazioni della Prometeo Atif Onlus: “Non tutti arrivano al trapianto. Bisogna reagire”). «Non siamo obbligati a donare,» ha chiarito dr Runfola, «ma è bene saperlo e rifletterci.»

Il problema della donazione fu un nodo cruciale – hanno raccontato il dr Atzori e il dr Storelli – quando, nel 1988, si cominciarono ad eseguire in Sardegna i primi trapianti di rene, poiché mancavano norme giuridiche che fissassero in modo certo gli elementi per considerare un paziente morto e quindi potenziale donatore. Ci sono voluti anni per giungere alla definizione di “morte cerebrale” e, nel frattempo, rianimatori e chirurghi hanno dovuto affrontare penosi processi in aula e sulla carta stampata («I rianimatori venivano definiti condor», ha ricordato dr Storelli e, purtroppo, ancora oggi ci sono persone – e, addirittura, associazioni – che alimentano la disinformazione parlando di “predazione degli organi”). Le norme che abbiamo oggi, però, – rassicura il dr Atzori – «sono tra le migliori al mondo» e fugano tutti i dubbi: il donatore non è un paziente in coma irreversibile, bensì un paziente che non ce l’ha fatta.

Il meccanismo che si attiva dopo la morte cerebrale è stato illustrato con chiarezza dalla dr.ssa Addis: esiste un apparato ben strutturato, che si attiva per stabilire che il paziente è cerebralmente morto. È ormai pacifico che è lo spegnersi di ogni attività cerebrale che determina l’arresto del cuore e quindi la morte di una persona. E, come ha spiegato il dr Storelli, bastano 7-10 minuti senza ossigeno perché le cellule del cervello comincino via via a morire. Dichiarata la morte cerebrale, ci si attiva per stabilire se gli organi sono adatti ad essere trapiantati. Occorre, infatti, tutelare il paziente ricevente. Ed è anche per questo che non tutti gli ospedali effettuano questo tipo di interventi, che richiedono esperienza e professionalità particolari. I trapianti di fegato, ad esempio, in Sardegna vengono eseguiti solo presso l’ospedale “G. Brotzu”.

Ma senza donazione non può esserci trapianto. Per tale ragione – ha spiegato la dr. Addis, riallacciandosi al discorso del dr Runfola – è importante parlare di questa scelta in famiglia, conoscere la volontà dei propri cari in proposito e far conoscere a loro la nostra. Perché è ai parenti del potenziale donatore – hanno spiegato i medici – che si chiede se acconsentono o meno al prelievo degli organi. Conoscere la volontà del proprio caro – ha proseguito la dr.ssa Addis -“alleggerisce” la decisione in un momento già di per sé drammatico. E dicendo questo ha invitato Paola Deiana a raccontare la sua esperienza.

Per la madre di Elisa questo è stato il primo intervento pubblico, la voce ha tremato un po’ ma il suo messaggio è arrivato forte e chiaro, proprio grazie a quell’emozione che ha catturato e contagiato i ragazzi presenti. «Elisa era poco più grande di voi» ha esordito, poi ha parlato dell’incidente che l’ha mandata in fin di vita. «I medici hanno fatto di tutto, lo so» ci ha tenuto a precisare, per poi ricordare la delicatezza del dr Storelli in quel frangente. «È importante avere vicino un medico sensibile in un momento in cui non senti più niente. Lui non è stato un condor» ha aggiunto, rassicurando chi, tra il pubblico, eventualmente non fosse del tutto convinto che per un medico la morte di un paziente è una sconfitta professionale e umana a cui si pensa prima di ipotizzare il possibile successo di un trapianto. Paola ha quindi raccontato che lei e suo marito Alberto hanno acconsentito alla donazione ancora prima che la domanda fosse stata completata, perché sapevano bene cosa desiderava Elisa. «Non è stato meno doloroso, ma è stato più semplice». Qualche giorno prima dell’incidente, infatti, era stata proprio la loro figlia a tirare fuori l’argomento e sua madre le aveva chiesto di parlarne in un altro momento. «Non volevo pensare alla morte» ha spiegato e ancora oggi ricorda la condanna di Elisa: «Sei un’egoista, mamma». Per questo Paola ha esortato i presenti, soprattutto i ragazzi, a parlare di questa decisione in casa, a non essere egoisti, a pensare – come fece Elisa anni fa – che anche noi potremmo un giorno avere bisogno di un organo e che potremmo essere noi a subire la condanna per un mancato consenso.

Difficile intervenire dopo queste parole e controllare l’emozione, eppure il dr Storelli ha saputo subito riassumere i panni di moderatore e stimolatore del dibattito, andando a “pescare” quesiti tra le fila degli studenti timorosi di esporsi. Raccogliendo dubbi e osservazioni, i medici hanno fornito ulteriori chiarimenti, poi la dr.ssa Addis – abile quanto il dr Storelli a gestire l’incontro – ha invitato Pino Argiolas a raccontare la sua esperienza di trapiantato. Poche parole e già gli occhi e le orecchie degli studenti erano ben catalizzati su di lui. Attenti e silenziosi l’hanno ascoltato raccontare la paura che l’ha assalito davanti alla prospettiva di dover subire un trapianto, l’aiuto offerto dai medici che l’hanno accompagnato tanto sanitariamente quanto umanamente all’intervento, l’emozione all’arrivo del Dono, la gratitudine per averlo ricevuto e la volontà di meritarselo. Ed uno dei modi con cui ha voluto dimostrare di meritare questa seconda chance è stato smettere immediatamente di fumare («Non fatelo. – ha invitato gli studenti – Vi fa male e vi fa pure spendere!»). Oggi, ha raccontato, ha davvero una nuova vita, forse migliore della precedente («perché più consapevole», ha aggiunto la dr.ssa Addis). E tra le nuove abitudini per molti di loro c’è l’attività sportiva e motoria, alla quale quest’anno la Prometeo Aitf dedicherà ancora più attenzione, sia perché è un’efficace terapia post-trapianto sia perché gli atleti trapiantati (come il giovane del video Ti voglio donare) possono essere ottimi testimonial per promuovere la donazione degli organi e per dimostrare che dopo l’intervento è possibile riprendere a condurre una vita normale. Concludendo l’intervento, Argiolas ha invitato i ragazzi a fare volontariato: «Noi lo facciamo. Certo, quello che restituiamo è pochissimo in confronto a quello che abbiamo ricevuto, ma cerchiamo almeno di meritarlo il più possibile».

È stato solo intorno alle 13.20, quando gli studenti pendolari hanno cominciato ad uscire, che alcune ragazze hanno trovato il coraggio di formulare qualche quesito  a voce alta, senza che il dr Storelli dovesse far loro da portavoce. «In caso di trapianto tra viventi, il donatore viene pagato?» ha domandato una studentessa. «Assolutamente no» hanno risposto i medici. Anzi, tale trapianto può essere effettuato solo con l’autorizzazione di un magistrato che accerti la gratuità della donazione. Un’altra ragazza ha chiesto, invece, perché la legge impedisca ai familiari del donatore di conoscere l’identità del ricevente. «Io vorrei saperlo», ha aggiunto emozionata e un po’ contrariata. La drssa Addis e il dr Storelli hanno  quindi spiegato che si tratta di una precauzione necessaria per tutelare il ricevente, per evitare possibili “ricatti morali”. I familiari del donatore, infatti, talvolta sviluppano la cosiddetta “sindrome del segugio”, che li porta a voler conoscere a tutti i costi coloro che sono in vita grazie agli organi del proprio caro. Una volta scoperto, poi, alcuni tendono a sviluppare un attaccamento morboso verso queste persone. Ma le parole che, probabilmente, sono servite maggiormente a convincere la dolce ragazzina sono state quelle di Paola Deiana, che ha spiegato come lei e suo marito Alberto non si siano mai posti il problema di conoscere chi fossero le persone salvate da Elisa. Sono comunque venuti a conoscenza della loro identità (in Sardegna è abbastanza facile, ha spiegato la dr Addis, «Basta leggere sul giornale la notizia di un grave incidente e poi si fa due più due»), le hanno conosciute, ma provano per loro lo stesso affetto che provano per altri trapiantati. «Elisa era Elisa; i trapiantati che hanno ricevuto i suoi organi sono altre persone.»

Poi il suono della campanella ha posto fine all’incontro. Gli zaini sono sfilati via veloci fuori dall’aula magna verso il sole, la tavola apparecchiata e, forse, più lieti pensieri.
«Oggi abbiamo seminato» ha commentato Pino Argiolas e allora l’augurio di tutti è di veder presto sbocciare questi germogli.

 

 

Foto di Pino Argiolas

2 thoughts on “In visita con la Prometeo Aitf Onlus al Liceo “Michelangelo“ di Cagliari

  1. Grazie di cuore per l’apprezzamento e per ciò che, ogni volta, con il vostro lavoro e la vostra passione, voi medici del CRT e gli amici della Prometeo mi insegnate

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