India: Kerala, il paese del cocco

di Francesca Lippi

Parlare del Kerala è come sprofondare in un luogo ricco di colori, suoni e odori è allertare tutti i sensi, è sprofondare in  percorsi che sanno di iconografico, di cartolina illustrata, perché  il Kerala, striscia di terra a sud dell’India, è incredibile, magico, indimenticabile. L’India o la ami o la odi. Per il Kerala è la stessa cosa. Il Kerala ti ammalia, ti graffia, ti risucchia. Se ti soffermi a guardarlo come un europeo, non ce la fai e prendi il primo aereo per tornare a casa, tanto l’ aeroporto dove aspetterai il tuo aereo è nuovo, perché costruito nel 2005 e funzionale e nulla ha da invidiare ad un aeroporto europeo. In Kerala, il paese del cocco, perché in malayalam, la lingua dello Stato, cocco si dice kera, non puoi trovare la logica. E non cercarla.

 

Non cercare strisce pedonali, semafori, ordine nelle strade. Perché questi non ci sono. Il guazzabuglio delle strade del Kerala è incredibile. Però ci sono i poliziotti, che cercano, invano, di dirigere il traffico, in altri stati dell’India non li trovi. Non cercare strade pulite, soprattutto a Kochi o Trivandrum, perché non le troverai, né tanto meno troverai bidoni della spazzatura o semplici cestini… ma incredibilmente questi saranno al loro posto, a Fort Kochi, roccaforte olandese dentro Kochi e luogo turistico o a Kovolam, località turistica a 13 km. dalla capitale, e in tutti i giardini, le scuole o i luoghi gestiti da privati. Vai per le strade e vedi cumuli di immondizia che quelli di Napoli fanno sorridere, le mucche vi pascolano beate seguite da qualche capretta solitaria, casupole e ville dai colori sgargianti si alternano in disordine sparso, alla faccia di qualsiasi piano regolatore; le strade, delle quali solo le arterie principali e le autostrade sono asfaltate, inviano cumuli di polvere al tuo passaggio, perché sono in terra rossa battuta come quella di Siena e se piove il disastro è annunciato. In un percorso di 30 km. con pioggia battente abbiamo incontrato 3 incidenti. I guidatori, fortunatamente illesi come i relativi passeggeri, si sono messi da una parte della carreggiata, hanno discusso tranquillamente, poi nel giro di dieci minuti si sono accordati, di poliziotti o vigili urbani nemmeno l’ombra.

 

E che dire delle scuole? Ti accorgi immediatamente della differenza tra quelle pubbliche, aperte, in quanto non hanno pareti e gli arredi sono estremamente poveri o inesistenti, i ragazzi stanno seduti per terra, e private  con  il prato all’inglese, le piscine, classi dalla materna alle superiori: impeccabili, pulite, e costruite con tutti i criteri necessari, compresi il condizionatore e i ventilatori nelle aule, oltre agli arredi e ai giocattoli per i più piccoli. Nelle scuole private cattoliche, per esempio, la retta mensile è di 30 euro , vi sono compresi:  il vitto, i  libri, la divisa e l’uso di piscine e/o palestre. Chi non può pagare la retta intera viene sostenuto dalla parrocchia. E’ pieno di chiese, il Kerala, non per niente è il paese dell’India con la più forte presenza di cattolici e anche se, al momento, al potere c’è un partito di centro destra, il comunismo non resta indietro e viene sbandierato in senso letterale, perché le bandiere rosse le trovi ovunque, anche dentro la foresta tropicale, insieme ai manifesti  a grandezza naturale  del Che o di Lenin, pittorescamente ridisegnati con gli occhi leggermente allungati e incredibilmente morbidi, proprio come quelli degli indiani, tanto da sembrare come loro. Non certo argentini o tantomeno russi. In kerala  il divario sociale è enorme, ma molto meno rispetto agli altri stati della confederazione indiana. Perché il Kerala è in assoluto lo stato più ricco dell’India, con le sue aziende di informatica e i relativi ingegneri, anche se ha subito la crisi economica mondiale e di conseguenza ha accresciuto il suo tasso di disoccupazione e la conseguente criminalità.

 

In Kerala la malaria non esiste, unico stato dell’India, eppure sorge nella foresta subtropicale con un clima che ha il 60% di umidità, con punte di calore che arrivano in aprile/maggio a 42°. Il Kerala, 32 milioni di abitanti, di cui 1.200 mila solo a Kochi, primo porto dello Stato e secondo più grande dell’India e alla capitale Trivandrum, 750mila abitanti, è un paese in forte sviluppo dove ancora esistono le caste, anche se la religione cattolica ne diminuisce la presenza, perché il Cristianesimo certo non può tollerare le differenze sociali così marcate e ineludibili che queste impongono. La flora di questo paese è lussureggiante,piante di cocco si alternano ai banani, ai fiori dai mille colori, ai bordi delle strade, a Kochi, crescono spontanei gli zucchini ed altri ortaggi, la fauna vede uccelli lacustri, piccole cicogne, una specie di roditore che assomiglia allo scoiattolo, quantità enormi di corvi, che ti svegliano gracchiando la mattina, proprio dentro la città, in attesa di qualche boccone  piazzati davanti alle macellerie, piccioni, topi grandi come gatti. Blatte e scarafaggi volanti e cani randagi. Tanti.

 

 

 

 

I raccoglitori di cocco si arrampicano con i piedi legati per fare più presa sul tronco degli alberi, salgono rapidi con il macete, tagliano i frutti e poi rapidamente scendono. I pescatori usano ancora l’antichissima rete cinese, trattenuta da grossi sassi e vanno nel Mare Arabico con barche che sembrano gusci di noce. E’ buffo passare dalla magia della sera, alle 18 è già buio, trascorsa sui backwaters, i fiumi della laguna, perché Kochi è la Venezia dell’India, in quanto sorge su un arcipelago, e nel buio intravedere le piccole luci delle case e poi infilarsi in un centro commerciale di Ernakulam, il quartiere residenziale di Kochi e mangiare al 7°piano, in un ristorante con cucina internazionale, ottimo servizio e vini…italiani! Ed è ancora più buffo, in questo paese così altamente tecnicizzato che donne e uomini, anche di un ceto sociale elevato, girino per le strade nelle api della Piaggio, che sono pubbliche e usate come taxi, vestiti in abiti tradizionali: sari per le donne, mudo per gli uomini. Difficilmente vedrai donne in abiti occidentali, è consentito usare il churidà, tunica e pantaloni e poche di loro guidano, ma la stragrande maggioranza invece lavora, mestieri umili, come la raccoglitrice di pietre con un cesto di vimini nell’edilizia, o professioni di un certo spessore come l’insegnante, il medico, l’infermiera, la giornalista.

                                                

Ad una conferenza stampa alla quale ho partecipato nel palazzo della stampa a Kochi, su 30 giornalisti, almeno 10 erano donne, in sari e una con l’hijab, il velo musulmano, mentre un’altra, una hindu, aveva un segno colorato sulla fronte.

 

Mangiare presso una famiglia indiana ha dell’incredibile. La gentilezza degli ospiti è squisita, vengono offerte numerose pietanze tradizionali e doni allo straniero che varca la soglia di casa, qualunque sia la condizione della famiglia, ricca o modesta, l’ospite è sacro.

 

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