“Io sono l’A-more”, il romanzo di Giovanna Politi

di Salvatore Cosentino

 

 

Giovanna Politi è donna colta, ma non sul fatto. E, d’altra parte, io credo che se uno scrive libri, il migliore lo scrive (poco) dopo i 40 anni. Prima è troppo presto, dopo è troppo tardi. Il libro migliore è quello più intenso, più vero, forse più sofferto. E’ quello in cui le parole sono esattamente quante dovevano essere: non una di più, non una di meno. E sono nel modo in cui dovevano essere; profonde, precise, essenziali. E’ il libro che racconta (pur parlando apparentemente d’altro) le stratificazioni della vita di un autore o di un’autrice.
Perché è il libro che si confronta con le esperienze di una maturità che comincia ad accarezzare il corpo e…il pensiero.
E allora questo “Io sono l’A-more” (ed. Kimerik) è la sintesi delle relazioni di Giovanna con gli altri, ma anche con se stessa. Ed è anche il luogo (non del tutto) metaforico dov’ella visita quella “casa” costituita dal suo interiore, trovandola sempre ricca di molte, variegate stanze, giammai un monolocale. Una casa ricca di “luoghi del pensiero”. E c’è tutto dentro quei luoghi: la luce, il vento, il mare, la Fortuna, la sfortuna, la vertigine del tempo, il dolore, il sentimento, il rumore e…il silenzio: perché il libro narra di sordità, di gente che deve comunicare a gesti per farsi capire, e con questo testo la Politi spiega la decisiva differenza tra “sentire” e udire.
Generosa come sempre, lei non si fa mancare nulla: 2 prefazioni, 1 postfazione,172 pagine e 265 aforismi per un manuale d’istruzione (scritto con l’apostrofo) per il funzionamento del cuore. “Io sono l’A-more” è un testo profondo eppur leggero, perché non scambia mai la leggerezza con la superficialità. Ambientandolo in un Salento autentico (e non autoreferenziale e retorico come quello che è diventato oggi), la Politi ci narra di Amore come strumento di Libertà, oltre che di arte dell’ascolto. Ascolto degli altri, ma anche e soprattutto di noi stessi, perché si può ascoltare anche senza padiglioni auricolari, e qualunque handicap può diventare una risorsa.
Il motore di ricerca di Giovanna Politi non è Google, ma è la Bellezza. E il vero muscolo che muove i suoi polpastrelli sulla tastiera è l’Emozione. Così lei ci racconta dei massimi sistemi dell’esistenza nel modo più semplice possibile: di quanto sia difficile (e spesso ingiusto) giudicare; di come la felicità comporti un’ineliminabile quota di egoismo; di come il godersi la meraviglia dell’Istante sia il segreto di ogni vita felice, perché è il Presente l’unico tempo che ci appartiene.
E infine l’autrice ci offre una lucida analisi sul peccato, per concludere – molto laicamente – che l’unico peccato mortale vero è quello di rinunciare alla propria felicità, o magari instillare nella mente di qualcuno lo sciagurato dubbio che il Piacere possa essere peccato. In un testo perfettamente riuscito, perché scritto da una donna piena di passato eppur senza passato, perché intrisa di un futuro eternamente presente

Giovanna Politi è una scrittrice e poetessa leccese. Dopo la maturità classica si trasferisce a Firenze (all’ombra del campanile di Giotto) per intraprendere gli studi giuridici. Sin dall’adolescenza convive con il sacro demone della scrittura. Ama la poesia, adora D’Annunzio, Ungaretti e Montale e dei loro versi si nutre. Nel 1988 vince il primo premio “Raggio verde” con la poesia “Solitudine”. Nel 1997 pubblica la sua prima raccolta poetica “Pensieri allo specchio” Liber Ars Edizioni e nel 2011, per Aletti Editore la seconda, “La voce del ventre”. Nel marzo 2013, la pubblicazione del suo primo romanzo “Chi vola basso non può toccare il cielo” Kimerik Edizioni, per nove mesi in vetta alla classifica della stessa Casa Editrice, con successo di vendite. Giovanna Politi, dal febbraio 2013 è presente nell’Antologia dei Poeti Italiani Contemporanei (Casa Editrice Pagine-Roma) curata da Elio Pecora. Presente nell’antologia degli Scrittori Contemporanei, Kimerik Edizioni. “Io sono l’A-more” è il suo secondo romanzo. (www.giovannapoliti.it)

 

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