Italia, paese a rischio di “default”
La consapevolezza del default di uno Stato, termine tecnico che significa più banalmente fallimento nazionale impedisce di andare alle urne, perché come si dice in Toscana si “scoprirebbero gli altarini” e scoprire gli altarini, al momento, non fa comodo né a chi governa, né all’opposizione. Insomma, inutile nascondersi dietro a un dito, siamo un Paese sull’orlo di una crisi… economica, di una bancarotta. Tutti lo sanno, ma nessuno lo vuol dire. I tagli sono chiamate riforme, ma altro non sono che tagli alle spese: scuola, sanità, cultura, ricerca. Di Pietro si espone, da uomo operativo qual è. E se guardiamo bene ha poco da perdere e tutto da guadagnare. In termini di elettorato, ovviamente. E’ l’unico, con il suo partito, a voler andare alle urne in tempi brevi. Gli altri se e la raccontano. Del resto ci siamo abituati…Ma facciamo un passo indietro. Dopo il salvataggio della Grecia e a breve dell’Irlanda, le casse dell’Unione europea dovranno pensare anche ai problemi economici di Spagna e Portogallo per non parlare di quelli dell’Italia. Una lista che tende ad allungarsi e che porta la UE al rischio di collasso. Non lo affermiamo noi che di economia non siamo esperti, ma la voce autorevole Herman Van Rompuy che in qualità di presidente del consiglio della UE, lancia l’allarme”Dobbiamo lavorare insieme per far sopravvivere l’eurozona – ha dichiarato – perchè se non sopravvive non sopravvivrà neppure l’Unione europea“. Lo scenario si fa inquietante per diversi motivi. Infatti nell’economia dove la moneta è unica il default di un paese rischia di diventare quello di tutti. Per questo bisogna intervenire. Tutti, ovviamente.
Ma cosa accade quando uno stato fallisce? Cioè quando non può far fronte ai suoi debiti, come una qualsiasi impresa? Cosa fa una famiglia quando ha difficoltà economiche? Taglia le spese, spalma il debito in più anni e cerca di aumentare le entrate. Lo stato fa la stessa cosa. E qui passateci un’informazione più che necessaria. Quando l’IDV, con l’indipendente Franca Rame, propose di tagliare gli stipendi di deputati e senatori all’appello non rispose nessuno, mentre per il taglio degli stipendi dei lavoratori o per il loro licenziamento, nessuno ha battuto ciglio “Le riforme” cosiddette, sono necessarie, rinunciare ai propri privilegi no!
Lo stato quindi può fallire, se non riesce più a far fronte ai suoi debiti e non riesce a sostenere la spesa pubblica: scuola, pensioni, sanità, stipendi dei dipendenti pubblici. Ecco che allora lo Stato taglia le spese e aumenta le entrate, nell’unico modo che può attuare: l’aumento delle tasse ai cittadini. (Leggi IVA, che è imposta diretta, col rischio, però di diminuire i consumi, perché è cresciuta l’aliquota, ma diminuisce il gettito). Un serpente che si morde la coda, insomma, tanto per star dietro ai proverbi popolari. Poi lo Stato può diminuire le spese: pensioni, sanità, istruzione, stipendi dei dipendenti pubblici. Gli organici e i salari relativi alla P. A. (Pubblica Amministrazione) saranno i primi a cadere sui tagli delle spese con immaginabili conseguenze sui servizi erogati. Basti pensare alla Sanità che in Italia, insieme alle pensioni, è un quarto del PIL. (Prodotto interno lordo). E ai tagli ad essa collegati…
La bancarotta ricadrà su quelli che hanno investito in titoli di stato (bot, cct) , ma il tesoro non potrà pagare gli interessi, e al momento del rientro in possesso del titolo, non si potrà recuperare l’investimento iniziale. Lo Stato interverrà, quindi, con la ristrutturazione del debito, differendo la restituzione stessa: una parte oggi e una in futuro. Il titolo crolla e la possibilità di rivenderlo è praticamente nulla. Il Bot a quel punto sarà un bot spazzatura.
Lo stato insolvente estenderà la sua insolvenza, ma chiamiamolo debito che rende meglio l’idea, alle banche . Titoli di stato, spazzatura inservibile, coinvolgono necessariamente le banche, perché queste non ricevono gli interessi sul portafoglio perciò si trovano a loro volta a corto di liquidità, rischiando di fallire. Se in economia si sparge la voce che le banche sono insolventi, i clienti correranno a ritirare i depositi prima che sia troppo tardi (leggi Argentina). Si assisterà alla presa d’assalto agli sportelli dei clienti e difficilmente un istituto di credito può regger al prelievo contemporaneo di gran parte dei suoi correntisti. Il fatto nel suo insieme è allarmante, noi non vogliamo spaventare nessuno, informare, quello sì, prima che il rischio paventato dal presidente del consiglio della UE diventi reale e sia troppo tardi. Ma le elezioni con quanto sopra enunciato che cosa c’entrano? In questo momento, a nostro parere, parlare di elezioni fa venire la pelle d’oca a tutti, e passateci il solito proverbio.
Francesca Lippi
Spaventare? Ma questo è l’argomento più importante di questi anni. Occorre esserne consapevoli e discuterne. Siamo sull’orlo di un precipizio. L’unità politica europea e, forse, più semplicemnete, gli eurobond potrebbero probabilmente mettere al sicuro i paesi del PIIGS, ma i tedeschi hanno detto chiaro che non hanno alcuna intenzione di accollarsi le spese delle cicale (anche se, in una visione meno miope, converrebbe anche a loro). In teoria potremmo salvarci anche con una contrazione delle spese (che in parte stiamo facendo) e in forte un aumento del PIL; certo ben al di là dello striminzito 1% che ci caratterizza da più di dieci anni, ma questo richiederebbe riforme strutturali a partire dalle liberalizzazioni che paiono impossibili. In Italia si oppongono ad esse potenti lobby ultraconservatrici che si chiamano ordini professionali: dannosi per l’economia in generale e per i giovani in particolare, da abolire immediatamente. Come scudo non rimane che l’ingente risparmio degli italiani che potrebbe essere usato come bancomat per ripianare il debito. Ma quale governo potrà essere così forte da riuscire a prelevare i soldi degli italiani direttamente dal loro conto corrente, semmai dando loro in cambio titoli di Stato a lunga scadenza? E allora non rimane che sperare che la Spagna, nel 2011, regga con le sue gambe perché altrimenti poi (2012) tocca all’Italia, paese troppo grosso per essere salvato dai nostri cari vicini.