“Juarès” di Vincent Dieutre illumina il Sicilia Queer Film Fest
Juarès è certamente il film più delicato, fin qui, di questa seconda edizione del festival palermitano Sicilia Queer. Formalmente ha un equilibrio del tutto particolare, sfuggendo contemporaneamente al genere documentaristico e alla fiction: il regista Dieutre si fa riprendere in un’intervista fiume che verte sulla sua trascorsa relazione con Simon, sindacalista attivista nei diritti civili. Nell’intervista sono inseriti filmati che lo stesso Dieutre ha girato dalla finestra di un appartamento a Juarès, immagini notturne dell’appartamento dell’amato, del lungofiume nel quale aiutava gli immigrati afghani, dei tragitti che mille volte imboccavano insieme per andare a cena fuori o rientrare a casa.
È dunque un film molto intimo, il racconto di una vera relazione, anche se c’è la messinscena di sottoporsi a un’intervista. Il rischio che l’opera non potesse risultare veritiera c’era tutto, invece Juarès è di una sensibilità sottocutanea: trasmette le sensazioni di quando non si riesce a prendere sonno, in certe notti, e ci si affaccia alla finestra a contemplare il silenzio. Allora la mente corre a chi c’è stato caro, a chi ci ha insegnato o lasciato qualcosa.
“Ho voluto fare questo film per rendere ancora parte di me la storia terminata con Simon” confessa Dieutre alla giornalista, nel film. Spiega anche che Simon è la persona che sessualmente l’ha reso più felice, e che ogni volta che facevano l’amore era sempre meglio, sempre più vicino alla perfezione. Sottolinea quanto fosse fiero di mostrarlo agli altri, di farsi vedere in giro con lui.
Il messaggio più forte, però, Dieutre lo ha dato ieri sera dal vivo, in sala: “Non considero una tragedia la fine della nostra relazione perché il nostro era un rapporto aperto al mondo, e Simon mi ha aperto gli occhi per sempre”. Nel film, frasi simili vengono dette in modo sentito da Dieutre, quasi sussurrate, mentre la macchina da presa spesso indugia sugli afghani controllati dalla polizia, chiara metafora della fragilità del rapporto tra lui e Simon. Un materiale girato come per caso che diventa pura sinestesia, mentre nella colonna audio finiscono i rumori della doccia, del forno microonde, del pianoforte. I suoni di un appartamento che Dieutre ha voluto catturare e conservare.
Dopo la proiezione, la critica ha sottolineato come al Queer Festival si sia visto un mondo gay talvolta ripiegato (anche odiosamente) su se stesso (Keep The Lights On, Bear City), in modo un po’ sterile e chiuso. La precarietà sessuale, politica e sentimentale di Juarès sono risultate, invece, intense e squisite. C’è uno sguardo sull’altro, fattore che rende bello un film e soprattutto affrontabile la fine di una storia.
Andrea Anastasi