La cultura dell’handicap in breve: tra Convenzioni e risoluzioni internazionali
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
In questi ultimi anni non è venuta meno l’esigenza di avere una rappresentazione statistica delle disabilità, non solo per avere una visione globale del “fenomeno”, ma anche e soprattutto per conoscere l’evoluzione della sensibilità sociale. Ne consegue che la tendenza a considerare le esigenze delle persone con disabilità in una prospettiva basata sui diritti è ampiamente affermata a livello internazionale, e in Italia soprattutto negli ultimi decenni.
Ed è con la Dichiarazione dei diritti degli handicappati (adottata nel 1975 dall’Assemblea Generale dell’ONU, con la Risoluzione n. 3447) e la relativa proclamazione del 1981, che l’atteggiamento sociale si modifica con una maggiore disponibilità e un maggior interesse per i problemi degli handicappati e il ruolo determinante delle associazioni di famiglie. Inoltre, col Decennio dei disabili 1983-1992 si è avviato un notevole cambiamento negli orientamenti delle politiche sociali in molti Paesi, tanto da influenzare positivamente l’impegno dei Governi per l’attuazione di politiche innovative volte a favorire l’integrazione e l’uguaglianza dei diritti delle persone disabili. In particolare, oltre alla promulgazione di linee-guida in diversi ambiti del sociale, la Risoluzione Norme standard per la parità di opportunità per le persone disabili, approvata nel 1993 dall’Assemblea dell’ONU, ha dato un considerevole impulso all’adozione, nel 1996, della Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri sulla parità di opportunità per tutte le persone affette da una qualunque forma di disabilità. Più recentemente la Commissione europea ha redatto lo European Disability Action Plan, che ha individuato degli ambiti prioritari di intervento per dare concretezza alle auspicate pari opportunità.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities, cosiddetta CRPD), conclusa a New York il 13/12/2006, aperta alla ratifica il 30/3/2007, è entrata in vigore il 30/5/2008 e rappresenta il primo strumento internazionale vincolante in tema di disabilità. Ma tale Convenzione non rappresenta solo il primo strumento vincolante a tutela dei diritti dei disabili, ma appare una vera e propria novità nel panorama normativo per l’approccio alla disabilità che essa propone; un testo che ha il grande pregio di discostarsi dal modello cosiddetto “medico”, che configura la disabilità come mero stato di menomazione e di malattia anche se l’obiettivo prioritario era l’inclusione sociale, e le azioni hanno riguardato in particolare il miglioramento dei servizi di supporto e cura.
Ma le notizie più confortanti provenivano dalla scienza, soprattutto per quanto concerneva una maggiore conoscenza delle cause dell’handicap e dei necessari interventi riabilitativi e assistenziali. Tutto ciò, sulle basi delle acquisizioni della psicologia dell’età evolutiva e della neuropsichiatria infantile, che mettevano in risalto le normali linee di sviluppo della personalità umana. Tuttavia credo di poter affermare che i disabili sono oggi una popolazione in parte ancora emarginata e in crescente aumento. È infatti l’umanità che manca all’approccio a questo problema: nel mondo sono 1 miliardo (circa 1/7 della popolazione mondiale), mentre in Europa sono 80 milioni (circa il 16% della popolazione dei 27 Paesi: 501 milioni). In Italia quasi 3 milioni sono affetti da deficit fisici e/o psichici o sensoriali di varia entità e gravità, sia dal punto di vista patologico che da quello medico-legale; e non si tratta solo di cifre, ma di individui che soffrono e per i quali è necessario mettere in atto tutto il nostro impegno, di medici e di uomini.
Quale spazio per l’assistenza odontostomatologica?
Ma quale lo stato di salute orale delle persone disabili, in Italia, specie se affette da gravi menomazioni e “non collaboranti”? Attualmente è poco conosciuto sotto l’aspetto epidemiologico; anzi, mi ha confermato l’Ufficio Stampa del Ministero della Salute: «… non è disponibile alcuna documentazione specifica riguardante le prestazioni odontoiatriche per le persone affette da disabilità psicofisica grave» (e-mail del 20/8/2012). Tuttavia, sia pur lentamente, la salute orale nel paziente disabile (soprattutto se non collaborante) va sempre più acquisendo un ruolo importante in funzione dell’impatto sul benessere psico-fisico; per contro, ancora oggi ben poche sono le strutture sanitarie adeguate con risorse umane e materiali a questa particolare tipologia di pazienti, e quindi non sufficientemente rispondenti alla richiesta.
Va da sé che un programma dedicato alla prevenzione orale e il potenziamento di strutture odontoiatriche (e più estensivamente odontostomatologiche), potrebbero rappresentare una buona soluzione alle notevoli carenze tuttora presenti sul territorio nazionale. Purtroppo, bisogna fare i conti con la politica economico-finanziaria del momento; ma a mio avviso non vi è crisi che tenga quando si tratta di cure e assistenza delle persone, ancorché disabili gravi… In caso contrario, a mio parere, si potrebbe ipotizzare omissione di soccorso… Nel nostro Paese non mancano certo leggi e normative la cui applicazione, però, è spesso soggettiva (Federalismo sanitario), senza contare casi di abusivismo come la sempre più ricorrente pletora dei “falsi invalidi”. In caso di inosservanza delle normative e quindi di mancata cura e assistenza per inefficienza delle strutture preposte, sarebbe utile che i famigliari dei pazienti disabili e le Associazioni che li rappresentano, si prodighino per la tutela e la difesa per far osservare quanto di diritto; del resto il SSN non è stato ancora alienato… o totalmente ridimensionato. A tal fine è bene rammentare l’art. 3 della nostra Costituzione che testualmente recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” Ma se ciò non viene osservato da chi è preposto, c’è da chiedersi quale valore possono ancora avere i principi ispiratori (utili alla formulazione di appropriate leggi) della Costituzione… Ai lettori una ipotesi di risposta.