La dittatura è un gioco di prestigio, Moni Ovadia docet
Ci sono artisti che davanti ai riflettori appaiono diversi da come sono dietro le quinte, ma questo non sembra proprio il caso di Moni Ovadia che, lo scorso 10 settembre, durante la XX edizione del Festival della letteratura di Mantova, ho avuto il piacere di ascoltar parlare della dittatura come “gioco di prestigio”.
UN AMATISSIMO ISTRIONE – Memorabile quanto l’incontro è stato anche il “dopo”, perché Ovadia ama stare in mezzo alla gente e non solo per averne le attenzioni, tant’è che, a fine evento, si è detto disponibile non a firmare copie dei suoi libri ma a «proseguire la chiacchierata». Loquace, focoso, divertente, arguto, attento a tutto e tutti; vero istrione, sembra stia sempre su un palco, ma per inclinazione naturale e non per affettazione, il che lo rende amabile anziché indisponente. Come i discepoli con il Maestro, a fine incontro l’abbiamo seguito in massa, cercando di avvicinarci il più possibile a lui, tendendo le orecchie per non perdere neanche una parola di ciò che diceva e allungando le mani per scattargli foto con i nostri telefoni (tanto più che è davvero fotogenico). Lui, dal canto suo, ha gradito il bagno di folla e non si è limitato a sorrisi e ringraziamenti di circostanza accompagnati da autografi fatti in serie: ogni nostro saluto, commento o richiesta diveniva uno spunto per dire la sua, raccontarci un aneddoto e/o creare dediche estemporanee personalizzate. Anche per questo, credo che ognuno di noi, andandosene, l’abbia salutato pensando che sì, Moni Ovadia è uno di noi.
DI GUERRA MUORE CHI LA SUBISCE – Ma torniamo all’incontro, iniziato con una vera acclamazione popolare appena è comparso alla nostra vista. Pe prima cosa ha spiegato che il suo ultimo libro, “Il coniglio Hitler e il cilindro del demagogo”, «è un pamphlet molto polemico», nato da due provocazioni che non sopportava più di dover “subire” (le virgolette sono sue). La prima è che «la radicale contrarietà alla guerra» venga sempre e subito stoppata con un “E se si fosse trattato di Hitler?”. Una controbattuta che, a suo parere, non regge, innanzitutto perché «le guerre di oggi sono criminali in quanto tali, non c’è bisogno che lo dica nessuno». I numeri, infatti, parlano da sé: secondo le stime che ha citato, i morti civili sono passati dal 15% della Prima guerra mondiale e dal 50% della Seconda all’attuale 95% (sì, avete letto bene). A morire, dunque, è soprattutto chi la guerra NON la fa né l’ha scatenata.
ANTISEMITISMO, UN’ACCUSA FACILE – La seconda provocazione contro cui si è scagliato nel suo libro è la reazione ai suoi «attacchi verbalmente violenti ma politici» alle politiche israeliane contro i palestinesi. Attacchi che secondo i suoi contestatori sarebbero antisemiti e si baserebbero su fonti filoarabe, pertanto, non attendibili: «Le mie critiche si fondano esclusivamente su fonti israeliane» ha chiarito, aggiungendo che, però, «basta che osi criticare le politiche del governo verso i palestinesi e usare la parola “apartheid” o “colonizzazione” e sei tacciato di antisemitismo», pure se sei ebreo. Quindi, con questo libro Ovadia voleva «contrastare la retorica del mondo occidentale connivente con le politiche israeliane» perché, ha affermato, a parità di situazione, con altri Paesi non sarebbe adottato lo stesso atteggiamento. E connivente è anche «chi le avvalla sottacendo, chi non parla e svicola», ha precisato, rimarcando come questo atteggiamento comunque non sia una novità: «l’Occidente mainstream è corresponsabile di quanto fatto dai nazisti per connivenza o complicità».
Peraltro, ha ricordato Ovadia, «quasi metà delle vittime dei nazisti erano civili sovietici innocenti, non solo ebrei ma anche rom, omossessuali, oppositori…»: «Il Governo occidentale e gli israeliani hanno cercato di “israelianizzare” la Shoah», ma «ad Auschwitz non è stato ucciso nessun israeliano: erano ebrei della diaspora». Come si è arrivati, dunque, a quella che potremmo definire una revisione storica? Moni Ovadia ha un’idea chiara anche su questo: «Più forte e militarizzato diventava Israele, più gli ebrei diventavano la vacca sacra. Prima erano i pezzenti calunniati, poi sono entrati nel salotto dei vincitori». E come vi sono entrati? Armandosi e, in particolare, dotandosi della bomba atomica, cosa che hanno fatto già dal 1960, «circostanza certa e mai ammessa», ha dichiarato, ricordando anche che gli israeliani non accettano controlli sui propri armamenti.
LA FOLLIA DI ISRAELE – Le politiche che Ovadia contesta sono quelle che hanno portato a «800mila arresti amministrativi senza processo, anche di bambini e ragazzi»: «una cosa gravissima, soprattutto per Israele perché vivere sull’oppressione di un altro Paese porta disgrazie e te ne accorgi tardi», ha commentato scatenando uno dei tanti applausi di approvazione che hanno intervallato il suo discorso. Di più: per Ovadia, «nella testa di Netanyahu c’è lo slogan dei nazisti: “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”» perché a parer suo e dei suoi seguaci «se critichi il Governo e il Primo ministro, critichi lo Stato di Israele e tutti gli ebrei».
LE COLPE DELL’OCCIDENTE – Tornando alla prima provocazione, al nazismo e alla connivenza/complicità dell’Occidente, Ovadia ha poi affermato che «Hitler poteva essere fermato prima» e in più occasioni, così come Francisco Franco, che «fu un vero fascista, checché se ne dica» e che rimase al potere «con la tolleranza del resto dell’Occidente, anche dopo la guerra contro i fascisti». Sono casi come questi che lo portano ad affermare che «l’Occidente ha le mani pulite e il sangue sulla schiena da sempre».
Quanto, invece, ai dittatori di oggi, per lui «non sono minimamente paragonabili a Hitler» perché questi era a capo del Paese occidentale all’epoca più forte, mentre paesi come l’Iraq di Hussein o l’Iran di Ahmadinezhād «non reggerebbero simili conflitti per tre mesi». «Hitler oggi è l’uomo nero che si tira fuori per zittire», ha affermato, ma «a me non farebbe paura: io ho paura di quelli che lo seguono». Anche perché, ha aggiunto, per certi versi «Hussein è stato come Hitler: ha usato il gas contro curdi ed ebrei. Ma l’Occidente stava zitto, anzi, gli ha fornito il gas». E oggi, ha aggiunto, «ci si ritorna con l’Isis» che viene finanziato da paesi quali l’Arabia Saudita, tra i migliori alleati degli Stati Uniti. Dietro questa guerra contro l’Isis, quindi, anche lui vede «un’enorme retorica, un’ipocrisia a scopi economici», in linea con le parole di papa Francesco, da lui richiamate: «Non si fanno guerre per la religione: si fanno per i quattrini». E «la retorica pro-sionista serve a negare questa evidenza. È tutta propaganda intimidatoria di modello sovietico, che nasce dal nazionalismo, la più grave pestilenza della storia dell’Umanità». Anche perché «non è vero che il nazionalista ama il suo popolo: ama chi la pensa come lui».
LEGGENDE DA SFATARE – Quanto allo slogan che ha accompagnato la nascita dello Stato di Israele, “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, lo ha commentato con un «Peccato che lì ci fossero i palestinesi…». Non meno severo e ironico si è poi mostrato sulla storia del “Siamo il popolo di Dio”: «siamo tutti figli di convertiti» che portano addosso tracce di più etnie. Peraltro, ha ricordato, già in origine nel popolo eletto si mischiavano ebrei e stranieri, uomini onesti e delinquenti. Però, un merito al popolo ebraico l’ha riconosciuto: «Il suo genio è stato ancorarsi a una patria mobile: la Torah». In proposito, vi invito a leggere il mio resoconto sull’incontro dedicato al Talmud, organizzato sempre nell’ambito del Festival di Mantova, mentre la versione integrale di questo incontro con Ovadia potete vederla in streaming sul sito di Festivaletteratura, così come il resto del ciclo Accenti della XX edizione.