La felicità e l’amicizia secondo Zygmunt Bauman
di Ernesto Bodini
(giornalista – opinionista)
Si dice che a volte l’amicizia è un’avventura. E forse è proprio così se si considera che quando si conoscono le persone (per caso o “premeditatamente”) non si può ipotizzare la durata e l’eventuale fine di tale rapporto. L’instaurarsi di una amicizia è come camminare insieme, contemplandone le tappe, gli imprevisti ed anche i brillanti approfondimenti di intesa… A questo riguardo il volume “L’avventura dell’Amicizia” di Robert Comte, Jean Lacroix, Roger Schutz e AA.VV., edizioni Qiqajo Comunità di Bose (2007) è un prezioso riferimento in quanto diversi sono i capitoli che vanno dall’elogio dell’amicizia al diventare amico di Gesù: la vocazione del discepolo, all’amicizia come realtà umana, dall’età della vita all’amicizia quale realtà spirituale, etc. Interventi che richiamano, a mio avviso, il concetto della felicità proprio perché una buona e sana amicizia può contribuire a renderci felici… Ed è proprio su questo modo d’esistere che vorrei soffermarmi e in particolare su alcune considerazioni in merito del sociologo e filosofo polacco (ebreo non osservante) Zygmunt Bauman, scomparso il 9 gennaio scorso a Leeds a 91 anni. Questo illustre pensatore dalle sagge e razionali riflessioni sui temi dell’esistenza umana, mi ha incuriosito tanto da andare alla ricerca di qualche sua lezione pubblica su Youtube e, non a caso, proprio sulla felicità ho rilevato che aveva delle idee ben precise tanto da indurmi a sintetizzare qualche passo sull’argomento (di seguito il video di riferimento), a cominciare dall’essenziale concetto che la felicità richiede concentrazione nella vita, a monte della quale vi è la virtù. «Riguardo la felicità – precisa in quella lezione – c’è solo una totale certezza che generalmente ci vede universalmente d’accordo, ossia è meglio essere felici che essere infelici. Tutto il resto è controverso». E a questo riguardo Emmanuel Kant (1724-1804) ha sottolineato argutamente quando scrisse: «La felicità è un concetto così determinato che, sebbene ogni uomo desideri giungere ad essa, nessuno in realtà è in grado di affermare coerentemente che cosa, in verità, desideri e voglia”. Ma nello stesso tempo la felicità è un concetto poco familiare in quanto tutti sanno cosa significa, finché non chiediamo, a lui o a lei, di definire esattamente cosa sia la felicità.
Secondo il filosofo polacco ci sono due categorie per definire la felicità. La moderna filosofia, e quindi la mentalità contemporanea, promette una vita con meno fastidi e disagi, senza preoccupazioni in quanto quello che si otteneva prima con grandi sforzi oggi è diventato tutto più facile e, secondo alcuni, questo può portare a felicità mentre in realtà il risultato sarà essere la noia, l’assuefazione… E questo fa parte della prima categoria. Sulla seconda il saggio Bauman fa ricorso al sommo J. Wolfgang Goethe (1749-1832) al quale un giorno fu chiesto se ha avuto una vita felice, e lui rispose: «Si. L’ho avuta. Ho avuto una vita molto felice»; ma subito aggiunse che non riusciva a ricordare una singola settimana felice. E questo, è un messaggio che insieme a Bauman possiamo intendere come molto potente, intorno al quale sulla felicità sono state date molte altre definizioni in quanto la stessa non consiste nella libertà dai problemi, dalle preoccupazioni, dall’ansietà, ma al contrario arriva quando siamo in grado di combattere e superare efficacemente le minacce e le paure della vita. Ma va anche detto che la società crea molte immaginarie condizioni sull’essere felici o infelici, in quanto esiste un impatto diretto della situazione in cui siamo nati, la nostra cosiddetta sorte e pure l’abilità di ricercare, raggiungere e ottenere la felicità. Nella sua lunga esposizione il relatore polacco si chiede perché le persone, da un punto vista sociologico e non psicologico, perché e come sono felici, ossia quali sono le cause sociali che procurano la felicità. Un quesito che si sono posti anche molti filosofi di etica morale d’epoca, tra i quali il tedesco Max Scheler (1874-1928) affermando che la felicità era un “problema” esistenziale già ai suoi tempi, come lo è tuttora in quanto siamo tutti uguali e in tal senso Scheler affermava: «L’uguaglianza relativa dei diritti politici, e altri diritti, è formalmente riconosciuta come uguaglianza sociale procedendo di pari passo con una enorme differenziazione dei poteri genuini, averi ed educazione; una società nella quale tutti hanno il diritto di considerarsi uguali a tutti gli altri i quali, di fatto, sono incapaci di eguagliare».
Saltando alcuni passaggi della sua dotta relazione Bauman (nella foto) ci richiama all’era moderna di internet ed altri prodotti della più sofisticata tecnologia della comunicazione, chiedendo se è lecito investigare sulla vita degli altri, osservando che la nostra curiosità è attirata dalle star e da tutti quei personaggi da vetrina, solitamente assai benestanti da poter vivere in modo dispendioso (per rincorrere la felicità?), perché questo è il tipo di dinamica di vita che davvero molti mezzi di comunicazione di massa ci consigliano di adottare. Ma come si può descrivere brevemente questo stile di vita? «Comprare con i soldi che non si sono guadagnati cose che non servono – è l’osservazione del filosofo polacco –, in modo da fare una buona impressione, che non durerà a persone di cui non ci curiamo. Ora, questa è più o meno la logica. Quindi, praticamente non c’è un limite, nessun ostacolo insuperabile per abbracciare nella nostra vita qualsiasi tipo di stile di vita. Questa scelta tremenda, presumibilmente rara, aperta, è in realtà tentatrice e seducente… Ma concretamente la felicità non è tanto nell’essere arrivati, perché è praticamente inaccessibile, e al di là di qualsiasi livello di felicità che si è già ottenuto, ce n’é uno ancora più in alto. Quindi, non nell’arrivo ma lungo il percorso, cercare di raggiungerlo e di migliorarsi nella vita intorno a noi. Questa è la condizione di felicità temporanea». Anche le chances per ottenere una felicità più completa ed appagante dei propri desideri, sono rese molto difficili dalle norme dell’economia contemporanea.
Ma non solo. Ad ostacolare il raggiungimento della piena felicità vi è la solitudine (“Il virus dell’età moderna”, che tra l’altro è il titolo del libro di Tony Jeton Selimi) che se ancora non ha intaccato il nostro Paese, la Svezia, dove il tenore di vita è assai elevato, ad esempio, ne è affetta da tempo e con significative conseguenze. Secondo recenti statistiche il 68% dei residenti di Stoccolma il nucleo famigliare è composto da una sola persona, e ciò significa che sono semplicemente soli senza nessuno con cui condividere la propria vita; il 40% degli svedesi intervistati hanno affermato che loro si sentono soli; un altro 28% viveva in solitudine senza saperlo, senza riconoscere che lo fossero. Lo scorso anno il consumo di antidepressivi è aumentato del 25%, e moltissime persone vivono nella depressione, e non sono solo le Case farmaceutiche ad “arricchirsi” con questi farmaci, ma anche, se non soprattutto, i siti social come ad esempio il notissimo e diffusissimo Facebook. Mezzi che purtroppo in non pochi casi si “sostituiscono” alla vera amicizia (altro che felicità): non è certo la stessa cosa intraprendere una iniziativa (anche fare un semplice acquisto) attraverso online, piuttosto che dare corso all’azione sviluppando un rapporto umano creando magari una relazione amichevole se non addirittura amorosa… anche se l’amore stesso non è la ricetta della felicità. «La condizione fondamentale dell’essere umano – è la conclusione di Zygmunt Bauman – è il rapporto con un altro essere umano. È il suo sguardo, quello di un altro essere umano che definisce e forma noi stessi, così come non possiamo vivere senza mangiare e dormire, non possiamo comprendere quello che siamo senza lo sguardo e la risposta dell’altro. I risultati del vivere in una comunità, dove ciascuno ha deciso sistematicamente di non guardarsi mai l’un l’altro: comportandosi come se non esistessimo, sarebbe la follia o la morte… La felicità comincia a casa, non su internet, in contatto con altre persone nel provare a capire le ragioni dell’altro. Se non dovesse partire da qui, allora io credo che essa non abbia grandi possibilità di esistere nella società contemporanea».