La legge “sfolla-carceri”: in bilico tra deflazione carceraria, sicurezza sociale e certezza della pena
A poco meno di un anno dalla sua adozione, il Piano Straordinario Penitenziario si perfeziona con la Legge 26 novembre 2010, n. 199 – meglio nota come legge “sfolla-carceri” – pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 1° dicembre: dopo gli interventi in materia di edilizia penitenziaria – costituenti i primi due pilastri del Piano, rispettivamente tendenti all’ampliamento delle carceri già esistenti ed alla realizzazione di nuove strutture – vengono oggi introdotte rilevanti novità nel sistema sanzionatorio (terzo pilastro), nonché misure di adeguamento dell’organico del Corpo di polizia penitenziaria (quarto pilastro).
Fulcro del provvedimento è la possibilità di scontare presso la propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, la pena detentiva (anche residua di pena maggiore) non superiore ad un anno (art. 1): va detto, infatti, che al settembre 2009, su 64.595 detenuti, circa il 32% (quasi 21.000 unità) scontava pene detentive non superiori ad un anno.
Con grande scontento delle associazioni che tutelano gli interessi dei ristretti in carcere, peraltro, l’applicazione dell’istituto non sarà automatica, come aveva invece previsto l’originario disegno di legge: viene, infatti, contemplata una serie di cause ostative alla concessione del beneficio, quali la condanna per taluni gravi reati – tra cui non rientrano, tuttavia, quelli suggeriti dalla Commissione affari sociali (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, delitti in materia di prostituzione minorile e di pedopornografia, reati a sfondo sessuale, stalking) –, la sottoposizione a regime di sorveglianza particolare, il pericolo che il condannato fugga o commetta altri reati, l’inidoneità del domicilio anche rispetto alla tutela delle persone offese dal reato, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, ovvero di tendenza a delinquere; viene inoltre attribuita al magistrato di sorveglianza la verifica dei presupposti per l’applicazione della misura.
Ad ulteriore tutela delle esigenze di sicurezza sociale, viene altresì inasprito il regime sanzionatorio per il reato di evasione (art. 2) – configurabile anche nel caso di allontanamento dal luogo presso il quale sia in atto l’esecuzione domiciliare della pena – ed introdotta una nuova circostanza aggravante comune, consistente nell’aver il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere (art. 3).
Ad ogni modo, è bene precisare che l’esecuzione domiciliare ha natura di misura temporanea, applicabile fino alla completa attuazione del Piano carceri, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e comunque non oltre il 31 dicembre 2013.
Silvia Onnis