La “Perfidia” secondo Bonifacio Angius
Dopo il successo al Festival internazionale di Locarno, “Perfidia” del regista Bonifacio Angius è finalmente giunto nei cinema sardi. «È un film sulla sospensione del giudizio» – afferma Carlo Doneddu, autore della colonna sonora – e, per questo, lascia il segno
“Perfidia” del regista sassarese Bonifacio Angius – unico film a rappresentare l’Italia al Festival internazionale di Locarno – è finalmente arrivato nelle sale sarde. Per la prima assoluta, lo scorso 22 ottobre, è stata giustamente scelta Sassari, mentre il 23 ottobre è stato presentato per la prima volta a Cagliari, per la precisione al cinema Odissea dove sarà proiettato fino a mercoledì 29 ottobre 2014 (qui gli orari degli spettacoli).
Il debutto cagliaritano è avvenuto alla presenza del regista, dell’autore della colonna sonora, Carlo Doneddu, e di buona parte del cast: Alessandro Deffenu (che interpreta Angelino, il protagonista), Mario Olivieri (Peppino, padre di Angelino), Noemi Medas (che, delle poche figure femminili, interpreta quella di maggior peso) e Domenico Montixi (Domenico, un amico – o forse dovremmo dire “amico” – di Angelino). Con loro, a raccontare al pubblico le proprie impressioni di spettatore e di addetto ai lavori, anche il regista Giovanni Columbu.
UNA RECITAZIONE “CALIBRATA” E NATURALE – Il lungometraggio “Perfidia” ha fatto subito parlare di sé e sta richiamando un numeroso pubblico: un successo che ha sorpreso lo stesso regista e, come lui, pure il collega Columbu. Questi ha, infatti, confessato che, pur avendolo molto apprezzato già a una prima visione, non si aspettava che piacesse a tal punto al pubblico: «Avevo visto il trailer, ma non avevo colto il senso dell’opera, né per il contenuto né per la forma. Anche perché tu – ha detto rivolgendosi ad Angius – hai adottato una forma sobria, oggettiva, eccellente. E, dal punto di vista delle inquadrature, la storia è raccontata benissimo. Anche la recitazione è sempre perfettamente calibrata e ha uno stile innovativo». Su questo punto non concorda l’attore Jacopo Cullin – intervenuto nel dibattito al termine della proiezione – che, però, pur non trovando innovativa la recitazione, l’ha trovata «veramente bella». Agli esperti del settore stabilire chi dei due abbia ragione: chi scrive parla da spettatrice ignorante e, dunque, può solo affermare di aver trovato la recitazione bella e naturale, anche grazie al linguaggio utilizzato, estremamente realistico in particolare nella scurrilità degli intercalare. E se Mario Olivieri temeva di non riuscire ad abbandonare l’impostazione teatrale con cui è abituato a recitare e che, davanti alla cinepresa, “non funziona”, l’applauso con cui il pubblico ha accolto la sua “confessione” gli ha senz’altro tolto ogni dubbio: la sua interpretazione è davvero intensa e convincente.
NON SOLO PAROLE – Per Giovanni Columbu, oltre la recitazione, sono punti di forza anche montaggio, ritmo, musica e sonorizzazione, il cui effetto complessivo – a suo dire – si apprezza di più a una riflessione successiva. Fondamentale è anche la fotografia, come ha notato una spettatrice: colpiscono, in particolare, i primi piani sui volti (incredibilmente eloquenti gli occhi di Noemi Medas e il suo sorriso titubante nella scena notturna sull’autobus) così come quelli sugli oggetti, al punto che anche l’acqua che bolle nella pentola sembra dover giocare un ruolo nella (non) azione.
Ci sono poi i suoni e i non suoni: i rumori sordi e i silenzi, protagonisti al pari delle parole, poi ovviamente le musiche, quelle celebri e quelle (davvero belle) composte ad hoc da Carlo Doneddu. Il compositore ha spiegato al pubblico che «fondamentale è stato il lavoro con Bonifacio» e che «è stata un’esperienza stimolante perché la colonna sonora è stata scritta per orchestra d’archi e pianoforte, un linguaggio cui non mi ero ancora avvicinato».
Il ruolo rivestito dalla musica in questa pellicola, peraltro, è anche maggiore di quanto appaia: «Durante la scrittura del film ascoltavo a ripetizione il brano “Perfidia” nella versione di Nat King Cole. E siccome costruisco il film anche attraverso la musica, ho scelto questa parola forte» ha rivelato il regista, rispondendo a uno spettatore che – come altri – voleva capire il perché del titolo.
LA PERFIDIA DELL’AMBIENTE URBANO – Altro pregio di questo lungometraggio, sempre secondo Giovanni Columbu, è la presenza di un elemento di novità per il cinema sardo: «Arriva, dopo anni di invocazioni, la Sardegna urbana. Io sono tra quelli che sono stati rimproverati di aver raccontato solo la Sardegna rurale». A onor del vero, però, va segnalato che anche altri film contemporanei – quali “Tutto torna” di Enrico Pitzianti e “Bellas Mariposas” di Salvatore Mereu – hanno già raccontato la città, a modo loro, ovviamente, ma con altrettanta crudezza. In questo film, infatti, ha evidenziato il regista nuorese, «il mondo che viene raccontato è un mondo amaro, oscuro». Questo perché, ha spiegato Angius, «la perfidia è da riferire non tanto ai personaggi, ma al mondo in cui vivono», una realtà che, appunto come una persona perfida, non si mostra realmente per quel che è, nasconde la sua cattiveria e si beffa così delle persone.
CINISMO, GOLIARDIA E FILOSOFIA – In questo contesto, spicca il rapporto tra un padre e un figlio che vivono insieme ma che fino a quel momento hanno vissuto vite parallele. Il padre si preoccupa per l’avvenire del figlio e prova a costruirgliene uno a misura dei propri desideri, complice involontario lo stesso figlio che di desideri e interessi sembra non averne. Il figlio, dal canto suo, è apatico e indolente, ma riesce in qualche misura a riconoscere, dietro quel comportamento, l’affetto del genitore e a trovare un suo modo per ricambiarlo. In quanto protagonista, è ovviamente lui a scatenare le reazioni più forti degli spettatori, tanto che uno di loro, a fine proiezione, ha domandato ad Alessandro Deffenu se abbia amato o odiato il protagonista, «perché io, dopo dieci minuti, l’avrei voluto prendere a schiaffi» ha aggiunto tra le risate d’approvazione del resto del pubblico. Risate che hanno avuto un’eco con la risposta dell’attore: è la stessa reazione che hanno molti alla fine del film. A dire il vero, comunque, nessuno dei personaggi di questa storia risulta particolarmente simpatico e meritevole di stima: sono tutti uomini disillusi se non cinici, che oscillano tra goliardia (alcune scene sono davvero esilaranti) e filosofia spicciola, che fa sorridere ma con amarezza, come quando Peppino spiega al figlio che «la vita è tutto un imbroglio e tu per vivere bene devi stare a questo imbroglio».
PAROLE VUOTE PER COLMARE IL VUOTO – Oltre al conflitto generazionale e familiare, in questa storia entrano in ballo anche altri argomenti, evidenziati sempre da Columbu: «c’è il tema di un amore difficile [o, meglio, come ha rimarcato uno spettatore, un amore che il protagonista si costruisce nella sua testa, ndr], c’è il tema del bene e del male e di come possono convertirsi l’uno nell’altro». C’è, insomma, tutto il mondo di oggi: l’inettitudine, l’apatia, la solitudine, la disoccupazione, la precarietà (esistenziale e non solo lavorativa), l’indolenza, la mancanza di comunicazione, l’amore e i sogni, il potere e l’umiliazione, la politica e gli intrallazzi… E c’è anche tanta invidia, uno dei sentimenti che più possono abbruttire l’uomo.
Discorso a sé va fatto per la religione, che in questo lungometraggio ha un ruolo dominante e controverso: Sergio Naitza, sulle pagine dell’Unione sarda, ha parlato di “religiosità oppressiva”, mentre Columbu ha trovato «splendida questa radio (Radio Maria), che ininterrottamente continua a predicare in questo mondo oscuro». L’interpretazione autentica l’ha fornita, ovviamente, il regista: «Il film racconta quasi la scomparsa di questo nucleo familiare, perché sono persone che non hanno lasciato nessun segno per essere ricordate. E quelle parole [quelle della radio, ndr], nel mondo in cui vivono i personaggi, sono parole totalmente vuote, però aiutano a dare la sensazione di uomini ingabbiati nelle loro paure, nella loro inettitudine, nella loro incertezza per il futuro. Queste parole apparentemente cariche colmano questo vuoto».
“UN DESIDERIO DISTORTO DI COMUNANZA E DI AMORE” – E l’atmosfera cupa, negativa, di questa pellicola è stato l’elemento di maggior sorpresa per chi aveva visto il precedente lavoro di Angius, “Sa Gràscia”, considerato al contrario solare e poetico. Non a caso, al termine della proiezione, uno spettatore gli ha domandato ironicamente se il regista sia lo stesso: Angius, che a quanto pare non è tipo da giri di parole, prima ha risposto con un secco “sì”, poi, sollecitato ad aggiungere qualcosa di più, ha spiegato che è normale, nella vita, svegliarsi con la voglia di fare cose diverse. Secondo Giovanni Columbu, tuttavia, «la prima impressione è amara» ma, a una seconda visione, ha colto che «il movente di tutto quello che accade è il sogno, è il desiderio di amore», un desiderio che porta il protagonista «a fare quello che gli altri [gli amici, il padre, ndr] non hanno il coraggio di fare». Il movente, ha concluso, «è il desiderio distorto di comunanza e di amore».
UNA STORIA SENZA ARTIFICI – “Ma perché questa storia?” è stato chiesto ad Angius, che così ha risposto: «Io volevo semplicemente raccontare una storia che conoscevo, quello che conosco profondamente [cioè ciò che vede accadere nella sua Sassari, ndr]. Nell’ambiente in cui si muovono i personaggi c’è qualcosa di me stesso e degli attori. Ma al tempo stesso potrebbe raccontare qualunque altra cittadina di provincia. Forse anch’io sono un po’ come i personaggi raccontati nel film».
«Ho cercato di raccontare una storia senza barare, senza ricercare artifici narrativi» e l’effetto verità l’ha ottenuto anche con un’alternanza di situazioni comiche e drammatiche che anche la vita reale, nel suo imprevedibile procedere, ci riserva. E veritieri sono anche quei «momenti in cui ti aspetti che succeda chissà che cosa e invece non succede nulla» che ha messo in evidenza Jacopo Cullin. Non cerchiamo, dunque, di dare interpretazioni pretenziose a questo film, non scervelliamoci a ricercare significati reconditi in un singolo particolare: con molta probabilità andremmo fuori strada. Un esempio per tutti: in quella che può definirsi una scena topica, la voce alla radio recita l’atto di dolore – preghiera di contrizione per eccellenza, non a caso recitata durante la confessione – e fa da sottofondo a un gesto del protagonista che, preso nella sua oggettività, rappresenta un gravissimo peccato. Facile credere, quindi, che il regista abbia voluto creare uno stridente contrasto o, al contrario, suggerire una diversa valutazione di quel gesto: non di condanna ma di assoluzione o, almeno, di comprensione. Così, per esempio, ha pensato chi scrive e così pure uno spettatore intervenuto nel dibattito. Un’impressione clamorosamente smentita dal regista che ha affermato di non aver neppure badato a questo particolare! Non una scelta voluta, quindi, ma una mera e bizzarra casualità. Inutile è pure ricercare in questa pellicola citazioni e omaggi a film celebri o proporre interpretazioni colte per la ripetizione delle battute: «Queste scelte sono dettate unicamente dal realismo. Qualcuno ha parlato di “ripetizione beckettiana”, ma non sono d’accordo: la ripetizione fa parte della vita, è il sale della quotidianità. Quindi questo è venuto in maniera molto spontanea» ha spiegato Angius. Ed è davvero poco frequente – e, al contempo, piacevole – trovarsi davanti a un artista che rifiuta interpretazioni pretenziose della propria opera. Certo, ognuno può dare la lettura che vuole, ma «la percezione che ha lo spettatore singolo è una sua percezione» ha affermato il regista, quasi a voler sottintendere che l’importante è non provare a spacciarla come autentica agli altri, men che meno a lui.
“UN FILM SULLA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO” – “Perfidia” «è un film radicale», che «ti lascia una traccia», ha affermato, a ragione, Giovanni Columbu: pur dando una visione negativa della realtà, non si può dire che comunichi comunque un messaggio negativo. A suo modo ci insegna, infatti, a stare al mondo, come quando, per bocca di Peppino, ci ricorda che «prima di imparare ad andare al trotto devi imparare ad andare al galoppo e prima ancora al passo».
È un film che mostra in maniera inequivocabile come bianco e nero siano categorie ideali: nella vita reale esistono le sfumature di grigio, che sono molte più di cinquanta. La migliore definizione l’ha data, però, Carlo Doneddu: «Questo film è sulla sospensione del giudizio» perché, partendo da un fatto che giornalisticamente può definirsi fatto di cronaca, lo racconta in un modo che gli fa assumere una valenza diversa da quella che avrebbe avuto se preso nella sua oggettività. Per questo, ha concluso, «è un film poco comune».
E di storie così non se ne raccontano mai abbastanza, visto che giudicare gli altri resta lo sport più praticato in Italia (e forse nel resto del mondo). Giudichiamo perché non proviamo a metterci nei panni degli altri, cosa che, invece, questo film ci invita a fare. Non solo: come ha efficacemente messo in evidenza Olivieri, quanto accaduto al suo personaggio potrebbe un domani accadere a chiunque di noi, «per questo è un film di tutti». E per questo merita di essere visto e “interiorizzato”.
La foto della presentazione di “Perfidia” al cinema Odissea di Cagliari è di Pino Argiolas