La Politica dei Ministeri e il Bisogno di una Continuità della Buona Informazione
Un rappresentante di essi impegnato nel sociale ci ha provato nonostante la buona volontà e la forma di disabilità di cui era affetto, ma poi non vi è stata replica… e oggi nemmeno il ricordo. Anche le persone con disabilità sanno dare il meglio di sé.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Questo mondo politico, non solo italiano, da sempre vede al potere e alle opposizioni persone di sana e robusta costituzione; al contrario persone seppur colte e intelligenti ma affette da una qualche forma di disabilità. Fece eccezione Antonio Guidi (1945), neurologo (egli stesso affetto da una patologia neurologica), deputato per Forza Italia dal 1994 al 2001, e ministro per la Famiglia e la Solidarietà Sociale nel governo Berlusconi. Il dott. Guidi è la prima persona con disabilità ad aver ricoperto un incarico di governo nella storia della Repubblica italiana. Perché questa osservazione? Per la verità non ho seguito (nei particolari) il suo excursus di politico attivo, se non il fatto di ricordare che in quel periodo, e successivamente, ha promosso diverse iniziative a favore delle cosiddette fasce deboli e della emarginazione, oltre a diversi incarichi politico-istituzionali strettamente correlati. Questa eccezione va forse considerata come tale, ma al tempo stesso induce a qualche riflessione. Mi verrebbe da dedurre come mai, ad esempio, la collocazione lavorativa delle persone con disabilità non ha mai subito variazioni, e perché nonostante le Leggi (n. 482 del 2/4/1968 e la successiva n. 68 del 12/3/1999) il tasso di disoccupazione di queste persone è ancora molto elevato. Probabilmente questo deficit (tanto per citare un eufemismo) non era a lui imputabile, ma forse il problema si presentava già all’epoca assai “imponente”, oltre al fatto che un ministro pur avendo voce in capitolo ben poco può fare con le costanti opposizioni…, men che meno in forma autonoma. Ma a parte la realtà politica del dott. Guidi (oggi dimenticato…), ho la convinzione che non vi siano persone con disabilità particolarmente votate a scalare la vetta dei poteri e dotate di un certo carisma, probabilmente anche perché per raggiungere un certo apice occorrono sostegni economici non da poco… e, come ben si può immaginare, solitamente le persone che hanno impedimenti d’ogni sorta appartengono a ceti sociali modesti, soprattutto dal punto di vista economico. Inoltre, anche volendo immaginare persone con disabilità che ambiscono a ricoprire il ruolo di parlamentare non credo che siano ben gradite dalle persone cosiddette normodotate, nemmeno dagli elettori stessi. Ora io mi chiedo, quanto è servita l’esperienza del dott. Guidi al nostro Paese?
Non è certo facile stabilirlo, anche perché una sola voce (per quanto autorevole) non è certo sufficiente per imporsi oltre una certa misura. In Italia, per quello che mi consta, la maggior parte delle persone con disabilità è “gioco-forza” più propensa ad attivarsi socialmente operando in associazioni e/o movimenti popolari, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica soprattutto su problemi che li riguardano direttamente; infatti, non c’è associazione che non rappresenti una qualche forma di disabilità. Ma tutto questo serve? E quanto serve? Da sempre sostengo che tali iniziative sono servite soprattutto nei primi decenni del dopoguerra, anche se con il passare degli anni sono sorte centinaia e centinaia di associazioni che, per brevità, definirei “pro handicap”. Ma va anche detto che, a parte l’opinione pubblica sempre più distratta da altri problemi, è proprio il politico che soffre di una certa idiosincrasia per i problemi legati alle disabilità (e alla sofferenza) a causa di insensibilità, i costi di assistenza, il particolare impegno che tale attenzione richiede, etc. In buona sostanza si può ideare un Ministero dopo l’altro, ma alla resa dei conti nulla cambierebbe come nulla (o pochissimo) è cambiato sino ad oggi. Quello che manca al nostro Paese, tanto per restare in casa nostra, è il senso civico e quindi il rispetto reciproco e per i beni comuni, ma tale carenza dura almeno da 40 anni a questa parte; periodo in cui si sono avvicendati troppi eventi politico-disfunzionali, e di conseguenza ogni forma di disgregazione sociale. In conclusione, idealmente potrebbe tornare una figura come quella del dott. Guidi, con il suo impegno, il suo credo (e magari anche con la forma di disabilità), ma sono certo che purtroppo il contesto socio-culturale attuale risponderebbe ancora peggio alle aspettative, con l’aggravante della messa in pericolo delle attuali e future generazioni. Con disabilità e non.
Sempre in tema di “riluttanza” nei confronti della intraprendenza di cui sono dotate le persone disabili, non ebbe miglior fortuna la fondazione a Milano nel 1985 della HPRESS, la prima agenzia giornalistica internazionale formata da redattori disabili. Nel concreto il concetto fondamentale della iniziativa era la disabilità vista e “raccontata” dai (come si diceva allora) “diversamente capaci”. Ricordo che l’annuncio editoriale recitava: «Hpress, la prima agenzia giornalistica europea composta esclusivamente da persone disabili, per offrire al mondo della carta stampata articoli di interesse sociale sui problemi dell’handicap e non, dal punto di vista degli handicappati stessi». Questa esperienza durò solo alcuni anni, durante i quali vi hanno collaborato molti autori affetti da una qualunque forma di sabilità; ma per non far morire questa creatura l’editore e fondatore Mario Zamboni trasformò l’agenzia Hpress nel mensile in versione cartacea Vento Sociale (con sede a Fano), redatto più o meno con gli stessi collaboratori, ed altre news entry di giornalisti iscritti all’Albo o con l’ambizione di diventare professionisti. Molti gli argomenti trattati: inchieste, reportage, interviste, articoli di attualità, cultura, biografie, giurisprudenza, handicap, cronaca, sport, moda, costume, benessere, politica nazionale e internazionale, ambiente, etc. In uno di quei numeri, collaborò anche l’ex ministro Guidi con un articolo dal titolo: “La responsabilità dell’handicap”. Ma anche questa innovazione, alla quale io stesso collaborai con molti articoli di un certo respiro, ebbe vita più o meno breve e, a questo riguardo, si dice che quando muore un giornale, sia esso di carta o digitale, nazionale o locale è sempre una sconfitta. Un lutto che lascia orfani di libertà. Il giornalismo, come la medicina, non è solo una professione, ma una missione sociale.