LA PRIVACY, UN PROCESSO LEGISLATIVO ELUSO DA MOLTI FRUITORI

Come l’irrazionalità di molte persone vanifica un diritto a tutela di sé stessi e della collettività

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Per anni da più parti si è tanto invocata la privacy, per il rispetto della propria intimità in tutti i sensi, e affinché la riservatezza dei propri dati sensibili fosse garantita a chiunque e in ogni dove. Ma con il passare del tempo, con la continua esplosione dei vari social network, questa “esigenza” è sempre venuta meno; evidentemente a molte persone non interessa più tutelare quella sfera del proprio intimo fisico e morale, pur sapendo (o non volendo rendersi conto) di eventuali conseguenze per sé, per i propri famigliari e a volte anche per gli amici più intimi. Ma in sostanza cosa dice la legge sulla privacy? Il testo definitivo del Regolamento Europeo sulla Privacy o GDPR (General Data Protection Regulation) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 maggio 2016, con entrata in vigore 20 giorni dopo tale data. Dal 25 maggio 2018 deve essere garantito un perfetto allineamento con le disposizioni fornite dalla legge sulla privacy. Con l’arrivo del Regolamento Europeo Privacy, la legge sulla privacy ha fatto un ulteriore passo avanti: il Regolamento UE 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati ha abrogato infatti la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) e, di conseguenza, ha sostituito il Codice Privacy italiano (D.Lgs. 196 del 2003). In Italia il GDPR 679/16 è armonizzato dal Decreto 101/2018 che integra la vecchia legge 196/2003 con la nuova normativa europea. Quindi, nel nostro Paese tale provvedimento (a nostra tutela) è in vigore dal 2003, e naturalmente in molti casi è servita e serve, ma in molti altri non è considerata sia per inefficienza della stessa che soprattutto per l’elusione da parte di molte persone. Si consideri, ad esempio, con quale facilità si danno a destra e a manca il proprio numero di telefono cellulare e altri dati relativi alla propria sfera personale, ulteriormente resi fruibili attraverso whatsApp, facebook, instagram, etc.; per non parlare poi dell’estesissimo fenomeno dei tatuaggi che molte persone si fanno fare anche su parti del corpo che solitamente vengono toccate da un medico in sede di visita e, questo, vale in particolare per le donne che peraltro in più occasioni esibiscono vistosamente senza alcuna inibizione. Alla stregua di tutto ciò non è solo questione di pudore ma anche di mancanza di rispetto per il proprio corpo e per la propria personalità. È evidente che anche questo fenomeno, sempre più dilagante e che peraltro sta arricchendo molti tatuatori, fa parte di quel progresso camuffato sotto l’etichetta di evoluzione dei costumi e della moda, se non anche del diritto di libertà di… espressione, e se così fosse, c’é da chiedersi: per esprimere cosa? Senza voler essere cinici, ma è storia, sino a non molto tempo fa il tatutaggio era una pratica che riguardava i galeotti, spesso come segno inconfondibile di una specifica appartenenza, espressione di un voto e/o una promessa, o ricordo imperituro di un avvenimento o più semplicemente una data o una persona da non dimenticare. Ma oggi, tutti quei tatutati che non appartengono a quella “sfera sociale”, le cui popolazioni di quell’epoca erano forse più “giustificate” nel ricorrere a tale consuetudine, quale analogia si potrebbe immaginare? Nessuna, ovviamente, ma resta il fatto che oltre a rasentare in moltissimi casi una certa irrazionalità, la pelle ricoperta (spesso assai estesamente) da tatuaggi anche in quadricromia, mette a dura prova il lavoro dei dermatologi, e dei chirurghi che devono incidere, oltre ai sanitari che faticano a trovare una vena per un prelievo ematico. Personalmente credo che questa “innovazione” nel trattare il proprio corpo in non pochi casi evidenzia insoddisfazione, narcisismo, qualche forma di carenza, ma anche un senso di onnipotenza e di un potere che non si ha e che si vuole avere, per sconfinare infine in quella ipocrisia quando in certe situazioni pubbliche molti tendono a nascondere le proprie parti “coreografate”; mentre altri soggetti (persino appartenenti alle Forze dell’Ordine e al mondo sanitario) ne fanno bella mostra. Se poi dovessimo analizzare la fantasia dei soggetti che si fanno tatuare, e quindi anche degli stessi esecutori, ci si perderebbe in titoli e temi sino all’inverosimile. Quindi, tornando al concetto di privacy, per quanto i garanti ci vogliano tutelare, la norma esiste ma non sortisce alcun effetto, con l’aggravante che taluni soggetti reclamano la privacy laddove è già compromessa per assenza di riservatezza. Si sa che la fantasia umana è secolarmente illimitata, e proprio per questo l’uomo continua a cercare e pretendere quegli spazi che gli sono consentiti dalla sua altrettanto secolare irrazionalità.

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