27 Gennaio: La sapienza della memoria
Viviamo nell’era dell’immagine. Dominata dall’immagine. Segnata dall’immagine. Condizionata dall’immagine. L’immagine come linguaggio globale. Extratempo. Immediato. Esaustivo. Ma anche delegittimante. Autoreferente. Decriticizzante.
La memoria sembra uscirne penalizzata. Declassata. Frenata. Inceppata dal suo stesso limite che è il tempo.
Il tempo è il fattore che la condiziona e governa. Ed è determinate per il suo laborioso e paziente processo di sedimentazione. È il tempo che attraverso i giorni, gli eventi, le scoperte, le sconfitte, gli ideali … semina e coltiva nel cuore degli uomini e delle civiltà, una ininterrotta e dialettica catena di consenso partecipato e condiviso a pro dell’esistenza e delle sue sfide. Il tempo è la condizione stessa per la sua solida, duratura ed efficace maturazione.
Vista così la memoria sembrerebbe svantaggiata. Rottamata. Sembrerebbe. Ma non lo è. E non lo sarà. Finché l’uomo è uomo, l’uomo è la sua memoria. Memoria personale e memoria collettiva. L’una e l’altra che, dialogicamente e mutuamente, si significano e si arricchiscono. E l’una e l’altra danno forma ad un patrimonio prezioso che si chiama identità. Identità personale. Identità civile e culturale. Identità che è nome, terra, credo religioso, affetti, progetti, eventi , ideali …. Che è auto- rivelazione e relazione. Che ci riconosce ed accoglie in un contesto comunitario con altri uomini e donne nella propria terra e nel mondo. E ci istituisce nel dovere di trasmettere ed affidare ad altri il patrimonio ricevuto. E tutelarlo. Come eredità che appartiene a tutti e ad ognuno. E a coloro che ci seguiranno. E cammineranno sulle nostre tracce. Sul sentiero tracciato dai primi e da tutti.
La memoria è la forma dell’identità. E identità essa stessa.
Perché è la linfa che trascorre ed alimenta la vita personale e comunitaria. Ed è, al contempo, la modalità che l’esprime. E la custodisce.
La memoria custode dell’identità di soggetti, popoli e culture.
La memoria pedagogia che accompagna il cammino delle genti.
La memoria come forma e struttura sostanziale dello spirito.
La memoria come orizzonte entro il quale si è accolti ed ancorati tra un prima e un dopo. In una catena di simili e diversi. Incessantemente. Solidariamente.
La cultura occidentale deve all’ebraismo la categoria culturale della memoria.
La nostra stessa fede cristiana riassume e celebra, in un evento- memoria, il significato dell’esistenza e del mondo. Attraverso la memoria dell’evento Gesù Cristo, siamo accolti e radicati in un mistero di grazia e di misericordia, datato nel tempo, eppure, reso a noi contemporaneo, nonostante il tempo.
La memoria storica,civile e culturale, nel bene e nel male, è cardine e collante della vita civile e religiosa delle nostre comunità, pur diverse, in una Europa comunitaria.
Dalle nostre esperienze storiche culturali e civili abbiamo imparato, esperimentando, che la memoria ci accompagna come pedagoga e custode dei nostri valori identitari e delle civili conquiste.
L’arte, la storia, la filosofia, l’architettura, la letteratura, la scienza, la tecnologia sono i nostri archivi di memoria.
I luoghi che ci spiegano chi siamo e perché siamo. Parlano di traversie, strategie, sofferenze, lotte, sconfitte, orrori, errori attraverso i quali comunitariamente siamo passati e passiamo. Da quali siamo stati schiacciati e risorti. Descrivono della nascita e della legittimazione dei diritti dei singoli e dei popoli. Del diritto-dovere di tutti e ciascuno alla pace ed alla libertà. E come da tutto questo ne siamo stati segnati e cambiati. Incessantemente. Profondamente.
Ma testimoniano anche di un evento di cecità assoluta, di consenso feroce di popoli e fedi che ha determinato e radicato il dominio del male assoluto. E dell’orrore assoluto che ne è sprizzato. Parlano di Auschwitz.
Della gratuità e dell’efferatezza con cui è stata dispensata la morte da uomini che hanno ritenuto di avere assoluto diritto di decidere su altri esseri umani. Su milioni di esseri umani. Su persone comuni, strappate al focolare e agli affetti. Persone che nulla avevano a che fare con le grandi strategie di guerra e di dominio: uomini, donne, vecchi, bambini … a milioni … senza nome … stravolti e fagocitati dal male e dall’odio … ovunque ricercati, inseguiti, braccati, asserviti, rapinati, umiliati, irrisi, uccisi … ovunque … senza scampo … in tutta l’Europa civile e cristiana. Sommersi dall’anonimia soffocante dei lager nazisti. Nell’oscura normalità dell’indifferenza. Sovente tra complici e biechi istinti di piazza in paesi sperduti. Nel contagioso terrore. O nell’impotente pietà..
Unica colpa: erano diversi. Diversi per etnia. Diversi per fede religiosa. Intollerabilmente e odiosamente diversi. Fino alla liceità dell’eradicazione dal mondo dei vivi. Scientificamente. Pervicacemente. Nella sordità assoluta di pietà e dignità.
L’indicibile, insostenibile, irredimibile enormità del male. Questa è Auschwitz.
Ricordare. Fare memoria. È il nostro modo di ritornare a quell’evento. Di dare forma e voce a milioni di vite sottratte al proprio nome, alla propria fede, alla propria terra. Insensatamente. Indegnamente. Ingiustamente. E patire il dolore. Quel dolore muto perché deprivato del suo stesso volto umano dall’efficientismo e dall’anonimia scientifica progettata.
È il nostro modo di riconsegnare a loro il volto umano sottratto. Il nostro modo di osare riconciliazione e perdono. Il nostro modo di gridare il disagio di un male che ci ha segnato e sminuito. E ci accascia.
È il nostro modo di imparare dagli errori. Di interrogarci sulle nostre occulte o palesi malattie di sopraffazione ed intolleranze. Il nostro modo di guarire. E concepire l’urgenza di cambiare il nostro sguardo sugli uomini e le donne del mondo. E il nostro sguardo sul mondo stesso come casa di tutti. Per tutti.
Il nostro modo di esecrare ogni violenza dell’uomo sull’uomo. Di concepire il solo pensiero veramente umano e riscattato: mai più. Mai più orrore e barbarie. Mai più l’avvilimento dell’uomo da parte dell’uomo. Mai più l’abbrutimento dell’uomo che si svende sopprimendo i suoi simili.
Emanuela Verderosa
Emanuela, una riflessione bellissima la tua: profonda, toccante ed elegante. Anche questa merita memoria
Grazie Marcella! Felice di aver condiviso un dono ed una memoria dovuta. Emanuela