La tortura delle torture: l’isolamento diurno degli ergastolani
Riceviamo e pubblichiamo:
Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni. (Articolo 72 Codice Penale)
Da qualche tempo si parla dell’introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura e anche dell’abolizione della pena dell’ergastolo, questo soprattutto grazie alle parole di Papa Francesco, che l’ha definita “Pena di Morte Nascosta”.
Si comincia finalmente anche a parlare dei particolari regimi carcerari a cui sono sottoposti molti detenuti da decenni. Nessuno però parla mai, o ne parla troppo poco, della crudeltà dell’isolamento diurno a cui vengono sottoposti gli ergastolani quando le loro sentenze diventano definitive.
Lo voglio fare adesso io, ricordando quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis, nel lontano 1995 nel carcere dell’isola dell’Asinara, e mi applicarono la sanzione penale dell’isolamento diurno della durata di diciotto mesi.
Molti prigionieri soffrono in silenzio e non amano raccontare il loro dolore, io lo scrivo per combatterlo meglio.
Un giorno un brigadiere e due guardie mi vennero a prendere nella mia cella, che dividevo con altri tre compagni. Mi portarono nell’apposita sezione per applicarmi l’isolamento diurno. Mi ricordo che la cella puzzava di urina. C’erano ragnatele negli angoli delle pareti, escrementi di topo ovunque sparsi sul pavimento. La porta della cella era sbarrata da un cancello arrugginito e da uno spesso portone di ferro grigiastro, con uno spioncino per passare il cibo. Potevo fare una sola ora d’aria al giorno dentro un cortile circondato da pareti di cemento e con una spessa rete metallica sopra la testa. Talmente fitta che i raggi del sole facevano fatica a penetrare e la pioggia a toccare il suolo. Ricordo che c’era un silenzio da cimitero, gli unici rumori che sentivo erano quelli degli scarponi delle guardie che, quando si ricordavano che c’ero, passavano per controllare s’ero vivo o morto.
Passarono settimane e mesi. Tentavo di dormire tutto il giorno e tutta la notte, perché quando ero sveglio pensavo, se pensavo ricordavo e se ricordavo la mia mente andava a quando ero un uomo libero e felice con la mia compagna e i miei figli.
Poiché avevo anche la censura della corrispondenza, per un certo periodo non mi passarono le lettere da casa. E mi sentii solo e abbandonato, dalla mia famiglia, dall’umanità e pure da Dio. Neppure Lui in quel periodo si degnava mai di rispondermi, solo adesso mi è venuto il dubbio che forse non l’ha fatto perché in quel tempo non avrei mai tentato di ascoltarlo.
Mi ricordo che in me non c’era più nulla. E avevo perso la cognizione del tempo. Ad un certo punto per non impazzire incominciai a parlare da solo per tenermi compagnia. E il mio cuore iniziò a costruirsi castelli di sabbia virtuali, d’amore con la mia compagna e con i miei figli, per proteggere la mia mente. Per dieci mesi smisi persino di andare all’aria. E quando, dopo un anno e sei mesi d’isolamento diurno, mi spalancarono il blindato e il cancello per portarmi in compagnia, mi sembrò che mi stavano facendo uscire da una tomba.
Ora, con l’introduzione del nuovo regolamento del 30 giugno 2000 (n.230) è previsto che “L’isolamento diurno nei confronti dei condannati all’ergastolo non esclude l’ammissione degli stessi alle attività lavorative, nonché di istruzione e formazione diverse dai normali corsi scolastici, e alle funzioni religiose” ma grande è sempre la differenza tra i diritti dichiarati e quelli applicati nelle carceri italiani. E purtroppo la maggioranza degli ergastolani continuano a scontare la sanzione penale dell’isolamento diurno come cadaveri sepolti vivi.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova 2015