L’AMBIZIONE AL POTERE DIRIGENZIALE FA PERDERE DI VISTA LA RATIO DEL RISPETTO DEI DIRITTI DEI CITTADINI
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Anche in tema di Sanità la cronaca fa il suo dovere, non c’é dubbio… Anzi! Ogni giorno, o quasi, di fatti, fatterelli e fattacci sono piene le pagine per denunciare un disservizio o una carenza, ma è noto che gli approfondimenti meritano altri spazi, soprattutto se si tratta di fare le pulci agli amministratori che devono difendere la propria posizione dirigenziale (con lauti stipendi), magari anche “penalizzando” il cittadino potenziale paziente e sicuro contribuente. In particolare mi riferisco al fatto che il Ministero dell’Economia richiama all’ordine gli assessori di questa o quella Regione in merito all’eventuale disavanzo economico e, l’input è: «I direttori che vogliono mantenere il loro ruolo devono garantire il contenimento dei costi». E se i conti sono in rosso le Regioni devono agire con provvedimenti “restrittivi”: niente turnover (in pratica blocco delle assunzioni), divieto di acquisti di nuovo od ulteriore materiale d’uso, ritardare i pagamenti ai fornitori, sospendere eventuali convenzioni con terzi, e magari “ostacolare o ritardare” in qualche modo la fornitura di presidi sanitari agli aventi diritto, giocare a rimpiattino sulle liste di attesa e sulle non autorizzazioni delle prestazioni in intramoenia; il tutto rientra nella famigerata frase (ormai obsoleta ma paradossalmente sempre applicabile) che va sotto il nome dei cosiddetti tagli alla spesa. Se questo è il modo corretto ed “onesto” per condurre l’andamento di un settore come la Sanità in una Regione (per non dire tutte), non c’é da dubitare che i pretendenti alle poltrone Assessorili e/o Dirigenziali non mancheranno mai, sia perché allettati dal lauto compenso mensile, sia per i quasi certi ritorni di immagine, e quindi di potere. Ma non solo. Tale modo di intendere la politica per gestire una Regione, non rispecchia né i principi della Costituzione e né il rispetto delle leggi vigenti. Un esempio? Sul problema delle liste di attesa il problema si va facendo sempre problematico, non solo per la carenza di personale sanitario, ma anche perché la maggior parte dei cittadini è affetta da ignoranza su quelli che sono i propri (doveri) e diritti dal punto di vista legislativo e quindi anche giurisprudenziale. Se determinate leggi prevedono l’obbligo di erogare una certa prestazione medico-sanitaria entro un certo limite di tempo, sia in regime di sanità pubblica che in regime di privato/convenzionato o accreditato, e l’Ente pubblico non è in grado di garantire tali prestazioni qualunque sia la ragione, il cittadino-paziente le può pretendere comunque in virtù dell’esistenza della norma che le prevede (Dlgs 124/1998). Ora, la ratio vuole che sino a quando una legge è in vigore la stessa va rispettata a tutti i costi, e se non si è in grado di rispettarla la stessa dovrebbe essere modificata o abolita. Perciò non ha alcun valore che un assessore o un direttore generale, per non perdere il posto, impongano provvedimenti restrittivi al cittadino (soprattutto in tema di salute); per contro, il cittadino può imporsi avvalendosi del diritto di far rispettare la norma in vigore che lo riguarda. Ma le domande sono: quanti sanno e quanti sarebbero determinati nell’imporsi per veder rispettati i propri diritti?
Da come procedono le cose, peraltro da molto tempo, sono ben pochi…, e quindi è inutile lamentarsi per poi non avvalersi delle leggi che sono vigore; e a questi vorrei far osservare che quando è la P.A. a puntare il dito contro il cittadino, la stessa fa sempre riferimento ad una o più leggi, sia recenti che datate: ignorantia legis non excusat, docet! Oltre un secolo e mezzo fa Massimo d’Azeglio disse: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani». Un affermazione-sentenza che purtroppo non è del tutto estranea al contesto attuale. Basti pensare alle rivalità che sono ancora presenti nel nostro paese tra Nord e Sud, e tanti altri esempi. Così stando le cose non si può che assistere ad una sorta di “autolesionismo” degli italiani, e ciò in netta contraddizione con quanto si è ottenuto, ossia vanificando i sacrifici di chi si è battutto per vedere un’Italia più unita (e non divisa in 21 Regioni) e più giusta; e sarebbe altrettanto inutile possedere quattro Codici (C.C., C.P.C., C.P., C.P.P.) dall’infinita mole di articoli se poi la loro applicazione si presta alla smaccata discrezionalità di questo o quel magistrato, le cui conseguenze incrementano il sovraffollamemto delle carceri (che comprendono migliaia di detenuti innocenti, sic!), ulteriori ingiustizie tanto da non sentirsi cittadini di un Paese… retrocesso di oltre un secolo e mezzo. E se è vero che le leggi ed i principi fondamentali della vita sono fondati sulle reali necessità, non si può dimenticare che una delle cose di cui abbiamo bisogno è un modo meno costoso di fare la storia conducendo il Paese in modo onesto, consapevole e politicizzando il sistema il meno possibile.