L’angolo di Full: “Il fischio delle giovani marmotte”

Il fischio delle giovani marmotte

Arrivai puntuale nonostante avessi trovato il traffico molto rallentato da numerose roulotte di tedeschi che stavano concludendo le loro ordinate vacanze scaglionate. Ormai erano rimasti solo loro a scodinzolare quell’ingombrante rimorchio anche perché, le roulotte degli italiani, non si potrebbero estirpare nemmeno col trattore dai loro campeggi permanenti dove hanno radicato con verande, tettoie, steccati e rigogliose vasche di basilico e rucola.

Avevo accettato l’invito a una breve vacanza in camping senza aver mai fatto un solo giorno di campeggio in vita mia, se si esclude il campo militare. Quand’ero ragazzo i pochi camping esistenti erano gratuiti per via di una legge che ne escludeva la gestione con fini di lucro: una legge ininfluente per me che non avevo nemmeno i soldi per la canadese a una piazza.
Quando mi sposai, le mogli avevano un ritornello: almeno in vacanza, niente letti da rifare né piatti da lavare… dopo trecentocinquanta giorni da serva, almeno quindici da signora.
Al solo proporre l’appartamento arredato diventavano delle iene, figuriamoci la roulotte!
La condizione di signora era rappresentata dalla pensione Mamma Rosa o Villa Serena con pasti completi di formaggio, frutta e dessert. Il mare era l’Adriatico perché il Ligure era già parsimonioso ai tempi delle Quattro Repubbliche Marinare. Una parsimonia evidenziata da una fondamentale congiunzione: formaggio “o” frutta “o” dessert.

Cullato dallo scodinzolio della roulotte che mi precedeva e da questi ricordi, arrivai presto a destinazione, ma non nel modo che s’immagina: la roulotte tirò dritto e, nel camping, m’infilai io con l’auto.
Parcheggiai e m’addentrai fra una doppia fila di casette di legno che, in pratica, erano l’evoluzione delle tende di trent’anni prima. Su due lati di ciascuna casetta erano fissate due ruote, giusto per salvare il concetto di casa mobile, per quanto la mobilità potesse derivare solo da un terremoto. Quel modello di ruote non m’era nuovo e poco più avanti, infatti, iniziava la zona delle roulotte (o ex tali) posate direttamente su mattoni, causa vendita delle ruote alle casette.

Come avrei dovuto immaginare dalla totale mancanza di indicazioni, dopo tre minuti m’ero bell’e perso. Ricordai le istruzioni del Galimba (ufficialmente Galimberti) trentasei passi dalla fontana, sulla destra. Così tornai alla fontana e contai i passi cercando di imitare la camminata del Galimba, ben più alto di me. Al trentasei lo chiamai col fischio delle Giovani Marmotte e lui sbucò da una porta sul trentadue perché lo ricordavo più alto.

Dopo il cerimoniale d’obbligo per vedere e apprezzare le geniali evoluzioni da tenda a capanna, a casetta, a “mini palazzina condominiale”, ci apprestammo alla cena. M’aspettavo una ricca varietà al barbecue da lui decantato più volte, invece c’era tonno e insalata. Ci facemmo qualche mano di briscola e di chiacchiere poi andammo a dormire con le finestre protette solo dalle zanzariere. Mi resi subito conto che un televisore, pur ridotto al sussurrìo, è micidiale se il tuo vicino sta a un metro e mezzo, così ascoltai la cronaca di una partita di palla-mano, sport che m’interessava quanto al vicino sul lato opposto, ronfante come un bombardino. Anche il Galimba continuava a rigirarsi nel letto, così gli chiesi se non era il caso di chiudere le finestrelle anche per via dell’umidità. Evidentemente si rigirava nel sonno perché non mi rispose. Lo chiamai più volte, infine lanciai quello che restò il mio ultimo fischio delle Giovani Marmotte (poi spento da un dentista) e finalmente il Galimba accese la luce, prese un affarino rosa dal ripiano e se lo ficcò dentro un orecchio:
«Hai detto qualcosa?»
Nella vita m’ha sempre salvato la prontezza di riflessi così gli indicai il mio cellulare:
«Mi hanno chiamato da Milano: mio suocero è peggiorato e domattina dovrò ripartire».
«Una bella sfortuna anche per te» partecipò accorato il Galimba.
«Si, è un periodo sfortunato» concordai pareggiando la bugia con la nuda verità.

Fulvio Musso

 

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