L’angolo di Full: “Post mortem”

Post mortem

Con regolarità, la signora Celeste raggiungeva in motorino il cimitero del paese dove il marito riposava in compagnia dei numerosi ascendenti e, pettegolando con le tre comari che vi ritrovava regolarmente, faceva il giro della propria e delle loro lapidi.

La signora era nuova del camposanto avendo perso il marito da poco, ma come succede, s’era presto assuefatta a quella condizione stemperando il dolore per la perdita nei vantaggi impliciti. Come il crollo della biancheria da stirare, l’autonomia di scelta fra i banchi del market e fra i canali tivù, il piacere di cucinarsi i piatti preferiti, oppure di pranzare con un dolce o un panino come faceva spesso da ragazza. Peraltro, la signora Celeste era una donna relativamente giovane e, da quando era rimasta sola, appariva anche più moderna. Frequentava la scuola guida, la palestra e disponeva persino di un telefonino, ereditato probabilmente dal marito, sul quale passava ore a digitare numeri a caso, quasi cercasse un possibile collegamento con la buonanima tramite una formula magica o… telematica.

Nei cimiteri, le tombe più guarnite, le più curate, fanno capo a queste vedove assidue, nessuna delle quali vuole essere seconda alle altre e anche la sepoltura accudita dalla signora Celeste era un tripudio di fiori e uno scintillio di ottoni. Spesso, raccolta davanti alla lapide, insisteva nel cercare quell’arcano contatto, digitando le più svariate combinazioni di cifre sul telefonino.

Poi, improvvisamente, quel sepolcro si sguarnì. Appassirono i fiori, si spensero i ceri e scomparve la stessa signora Celeste che, ormai, si vedeva poco anche in paese.
A brigare, in camposanto, restarono le tre comari che confabulavano sul repentino abbandono di quella tomba e, ancor più, sulla comparsa di una misteriosa e insolente scritta, vergata con vernice rossa, a imbrattarne la lapide:
Pin 8872. Puttaniere!

Una banale interpretazione del fatto lascia supporre che la signora Celeste, a furia di smanettare sulla tastierina, o in qualche altro modo, fosse arrivata a scoprire il “Pin”, o codice segreto, che spalancava la memoria del cellulare ereditato dal marito, zeppa di messaggi che riferivano i suoi piaceri clandestini.

Ben più misterioso, invece, fu il repentino ripristino della tomba con la cancellazione dell’infamante scritta e il recupero del precedente splendore, in uno sfavillio floreale ancora più ricco e vario di prima!

Soltanto il vecchio guardiano del cimitero poteva notare le due comari che, negli orari più insoliti, e di nascosto una dall’altra, infioravano quella sepoltura insieme al ricordo delle ardenti ore d’amore con l’impenitente dongiovanni.
Nessuno, invece, poteva accorgersi della terza comare che, davanti a quella lapide, rallentava appena il passo mentre un tremolio lieve del labbro tradiva la preghiera e il sentimento. Perché, secondo amore, c’è sempre un cuore semplice che s’innamora e, secondo destino, della persona sbagliata. Tristezze che nessuno nota perché il vero dolore è discreto.

Tuttavia, il personaggio centrale della storia rimane il titolare della sepoltura, raro esempio di separazione coniugale post mortem e d’una irriducibile continuità nell’arte della seduzione. Del resto, il viale che conduce al camposanto è stracolmo di speranze future. Addirittura sa rendere famosi artisti d’ogni genere: pittori, poeti, musicisti, letterati.
Confesso che un pensierino immodesto, come narratore, oso farlo anch’io. Senza farmi fretta, però.

Fulvio Musso

 

 

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