L’angolo di Full: “Scipione”
Scipione
Per la serie: “Una persona che non dimenticherò mai”
Fra i personaggi che ricordo più volentieri c’è un mio ex compagno di fabbrica del quale ho già raccontato, un vero maestro di gnocca, di quelli d’elezione popolare come certi santi: il santo della gnocca. Non era tipo da sbandierare le sue avventure: si limitava a praticarle. Capitava però che cedesse qualche consiglio ai ragazzi di primo pelo come me: devi essere quello che sei, diceva, se suoni falso, le donne c’hanno orecchio e antenne. Devi capire al volo se piaci oppure no: se non piaci non cucchi perché le donne non sono fatte come noi puttanieri. Soprattutto, servono riflessi e inventiva: senza quelli non combini un cazzo.
A proposito di riflessi e inventiva, ce ne diede un buon esempio in uno dei suoi rari racconti. Quel giorno eravamo in sciopero all’interno della fabbrica. Abituati a sgobbare come dei somari, quella costrizione all’ozio era più penosa che lavorare gratis. Molti, infatti, pur di fare qualcosa, riordinavano la postazione di lavoro, lubrificavano il macchinario o, addirittura, scopavano per terra… da piangere!
Noialtri, tre o quattro ammosciati, si stava seduti s’un bancone a fumare quando capitò il Maestro, scoglionatissimo anche lui: «M’è venuto in mente Scipione», buttò lì. S’accese una sigaretta e, credo per noia, attaccò una storia al volo.
“Ero in piazza quando vedo una tipa che esce trafelata da un portone: «Scipione! Scipione!» grida a un cagnolino che sta scappando. «Scipione!» urlo anch’io e, forse per il tono, quel lavativo si ferma. La signora mi ringrazia stupita e m’accorgo che è una figa niente male, così ci do dentro: «Mi deve scusare, signora, ma anche il mio cane si chiama Scipione e m’è venuto spontaneo richiamarlo». Questa strana coincidenza la scompiglia un po’ e mi guarda come un inviato del destino. «Scipione?! Davvero incredibile!» e mi fa tutta la storia del generale romano… due palle! Intanto entriamo in un caffè e concludiamo che deve assolutamente conoscere il mio Scipione, così ci diamo appuntamento al parco col mio cane e senza il suo, metti che finiscano a litigare… due generali!”
Un racconto del Maestro era avvenimento da campane a martello e, in breve, s’era raccolto un auditorium d’una dozzina di operai di ogni età, reparto, qualifica, colore di tuta, di sindacato e misura di corna: un bel colpo d’occhio. Al centro, il “docente” raccontava col suo tono neutro, quasi dimesso:
“Qualche giorno dopo, al parco, vedo arrivare la tipa tutta addobbata, il che è sempre un buon segno per cuccare. Ci mettiamo a cianciare s’una panchina col mio animale che sonnecchia spompato. Ogni tanto lei lo chiama: «Scipione!… Scipione!», ma quello non solleva neanche una palpebra. Dopo un po’ credo le venga il sospetto che quel nome, stranamente uguale, sia soltanto una mia furbata, infatti mi chiede di chiamarlo “per vedere come ubbidisce”. Ahi!… ‘sto cane è un gran lazzarone, comunque ci provo con le buone: «Scipione, da bravo, vieni qui, birba!»
Per quanto impallato, quello si scuote. Non vi dico l’ammirazione! Lei dice che sono un mago, che devo insegnarle il mio metodo, eccetera. Per farla breve, cominciamo a frequentarci e… senza badare troppo ai cani. Voglio dire, il suo Scipione e… Birba.”
Sibilando sopra le risatine e i frizzi, la sirena della fabbrica annunciò la fine del turno di lavoro che coincideva con la conclusione dello sciopero e del racconto.
«E… il tuo Birba? Ce l’hai ancora?» chiese qualcuno al Maestro.
«Birba? Mai avuto cani. Birba me l’aveva prestato il giornalaio sotto casa».
Fulvio Musso