L’angolo di Full: “Il clandestino”
Viene facile considerare l’infinito rompimento di scatole di chi trascorre il proprio tempo senza impegni precisi, anche se non propriamente in ozio. Come certi pensionati ritiratisi nelle “ridenti” località marine o lacustri per una vita finalmente contemplativa, dopo tanto tribolìo, e vi raccolgono solo giorni di malinconia e, nelle ore stregate della sera, struggimento di cuore.
Li guardo, appoggiati alle balaustre dei lungolago, o seduti sui parapetti delle banchine, con l’orizzonte negli occhi e il culo ancorato alla riva.
Ogni volta che tolgo gli ormeggi da qualche porticciolo di passaggio, ne imbarco qualcuno, lo sguardo calamitato al mio scafo, lo spirito a bordo e il sedere a terra.
Ricordo bene l’ultimo che ho imbarcato, un signore col cappello floscio e i pantaloni freschi di moglie e asse da stiro. S’era aggregato subito, non appena aveva notato il mio passo da marinaio approssimarsi al pontile. Un breve cenno di saluto col capo poi, sollecito, m’aiutò a sciogliere gli ormeggi copiando, attento, i miei gesti.
Trovò qualche difficoltà nel salire a bordo a causa dell’inesperienza, ma poi si sistemò sul sedile di poppa e, di lì, non si perse un mio movimento. Come aprii il portello della cabina, modellò il collo come un fenicottero per sbirciare gli interni. Mi guardò indossare il giubbino a vento con una muta preghiera negli occhi che esaudii lanciandone uno anche a lui.
Infine avviai il motore, trassi in coperta i parabordi e gli lasciai la soddisfazione di mollare l’ultimo ormeggio. Lo scafo prese a muoversi dolcemente lasciando una lieve, magica scia dietro la poppa e nei suoi occhi.
Un attimo prima di uscire dall’imboccatura del porto il mio compagno di rotta si voltò verso la banchina e, con un furtivo gesto della mano chiusa, col dito medio alzato, si congedò dal se stesso rimasto col culo a terra, il cappello floscio e i pantaloni freschi di moglie e asse da stiro.
Ogni volta che salpo, imbarco un clandestino. In silenzio, barattiamo libertà con compagnia.
Imbrogliandoci a vicenda.
Fulvio Musso