L’angolo di Full: “Il fotografo ambulante”
I suoi genitori erano una coppia di invalidi come ce ne sono tanti: senza culo lei, senza humour lui. Poi c’era il nonno, decorativo e inutile come un caminetto spento.
Tutti e tre avevano cominciato a fregarlo appena nato, secondo prassi. Cercava la mammella e gli ficcavano in bocca un succhiotto di gomma. Lui reclamava perché era piccolo, non scemo e, per zittirlo, gli intingevano il ciuccio nello zucchero innescandogli la carie prima ancora dei denti.
Quella del culo, non è mutilazione banale per una donna. Le vivaci occhiate sul sedere si “sentono” e funzionano da ricostituente intramuscolare senza il quale si tende a inacidire. La mutilazione dell’humour, invece, è molto peggio. Immerso in tale soluzione acida, un figlio dallo spirito libero scappa di casa prima dei quindici anni.
Invece, fedele alla serenità del suo nome, Clemente poté realizzarsi senza abbandonare il vecchio tetto. Gli bastò ereditare dallo zio Pasquale, buonanima, una eccellente Rolleiflex che, all’epoca, raffigurava l’oggetto del desiderio di molti giovani.
Sino agli anni cinquanta, le sagre, le fiere e i mercati erano frequentati da una nuova categoria di artisti di strada: i fotografi ambulanti. Quale espediente per sedurre i clienti, usavano… i sogni: i giovanotti posavano sul biplano ritagliato nel cartone a grandezza naturale. Le sagome di lussuose decappottabili attiravano le coppie d’innamorati mentre, i sedicenti casanova, posavano abbracciati alle silhouettes di dive famose. Per quanto possa apparire singolare, le fotografie venivano prezzate un tanto a… persona, non a posa (!)
Rivelando grande acume per gli affari, Clemente si limitava a srotolare un fondale raffigurante un salotto elegante, davanti al quale fotografava i gruppi familiari. Considerando la… fecondità dell’epoca, la tariffa a persona era una pacchia e quel lussuoso salotto di velluti e cristalli, un’attrazione e un sogno irresistibili. Il suo armamentario si completava con una poltrona e una colonnina per accogliere, rispettivamente, il sedere e l’avambraccio dei due capostipiti.
Clemente arrivava con una vecchia Fiat-Topolino ben riconoscibile dalla poltroncina senza gambe legata sul portapacchi. Valutava la posizione del sole e, in pochi minuti, stendeva il fondale, avvitava le gambe alla poltrona e posizionava il treppiede di legno con appuntate le sue foto migliori. Nelle piazze più “difficili” si faceva accompagnare dai genitori che si fingevano clienti per dargli modo di attirare il pubblico con qualche accecante flash.
Ma la vita dà e toglie. Capita un tragico evento, il peso di una colpa e, di tanta storia, resta una fotografia. Di tanta passione, un lampo al magnesio. Di tanta arte e avventura, resta uno sportello statale a rilasciare fanculo in carta semplice.
Accadde che, a una ricca fiera, volle recarsi anche il nonno e l’unica sistemazione possibile, in auto, era la poltrona senza gambe legata al portapacchi. Lassù ci faceva la sua figura perché era tipo assai decorativo: candido e solenne. Clemente guidò con la dovuta cautela, poi, sviato dalle ciance coi genitori, si dimenticò del… carico pensile.
Alla prima curva, il nonno tirò dritto. La sua lapide riferisce: “un uomo retto”.
(A mio padre che, nella sua breve e avventurosa vita, fece persino il fotografo ambulante)
Fulvio Musso
Ciao Fulvio, trovato per caso e riletto con sommo piacere. Impaginato così poi, con quelle foto e quello schizzo, mi è piaciuto ancor più. Mi piace rileggere racconti che conosco bene, si trova sempre qualcosa di nuovo. A volte quando non so che fare lo faccio anche con i miei. ciaociao…è inutile che ti dica bravo.