L’angolo di Full: “La sparata”

quattro frati

quattro fratiLa sparata

I due monaci si sputano sulle mani aride e riprendono a vangare il campicello di quel piccolo convento inginocchiato fra i monti dove il sole e l’ombra si sdraiano sui prati con turni rigorosi.
Hanno appena concluso la pausa di preghiera che serve anche a riprender fiato.
«Ho pregato per nostro fratello Giovannino», dice il più giovane.
I due frati vangano ininterrottamente per un’ora, poi vanno a dissetarsi alla fontana.
«Perché preghi per fra’ Giovannino?», chiede il più anziano.
Insieme, scaricano dalla carretta le piantine da interrare, le dividono accuratamente, ognuna con la propria zolla, e le mettono in due cesti.
Iniziano poi a trapiantare i virgulti in lunghe  file parallele.
«Ho pregato perché il nostro confratello possa ritrovare la verità.»
I due religiosi hanno ultimato il trapianto e stanno lavando gli attrezzi alla stessa fontana che li ha dissetati.
«Credo che fra’ Giovannino abbia bisogno di preghiere quanto ne servono a tutti noi, né più né meno», dice il frate più anziano e aggiunge:
«Dobbiamo anche considerare che la Chiesa, ultimamente, s’è molto adeguata… »
Il monaco più giovane dimentica la regola della riflessione e s’oppone con malcelato impeto: «Questo non è un buon segno: la Chiesa scende a patti solo quando perde.»
Meticolosamente asciugano gli attrezzi per preservarli dalla ruggine, poi li ripongono, ognuno al proprio posto.
Con le braccia conserte e le mani infilate nelle maniche, i due monaci si avviano infine verso la cappella il cui campanile sembra additare loro il cielo mentre il sole sbadiglia un’ultima luce.
Il più giovane insiste: «Non pensi dunque che frate Giovannino abbia smarrito la verità?»
Il frate più anziano ferma i suoi occhi in quelli del compagno:
«Soprattutto, vorrei che il nostro amato confratello Giovannino mi raccontasse la sua di verità.»

     Era successo che, durante la ricreazione del mattino, i frati avevano giocato alla sparata. Una sfida abbastanza ricorrente nel convento ed il cui spasso dipende dall’estro dei contendenti. Vince la sfida chi spara la bugia più grossa e, quel mattino, c’era in palio una gustosa ciambella offerta, come solito, dal padre economo.
L’esordio del frate guardiano non era male:
«Stavo trasportando un sacchetto di farina appeso al manubrio della bici. Purtroppo il sacco s’è rotto e l’ho perso per strada, così sono arrivato al convento con la sola farina.»
Fra’ Nasturzio, noto per il suo umorismo sottile, raccontò:
«Sono così sfortunato che tutte le sere, quando devo levarmi le scarpe, tiro il capo sbagliato delle stringhe procurando dei nodi durissimi da sciogliere.»
«Ma noi frati portiamo i sandali», obbiettò qualcuno.
«Ed è proprio questo che non riesco a capire!», concluse fra’ Nasturzio.
Fra’ Girolamo sparò la sua: «Arrancavo in bici con una gallina nel cesto e la strada era talmente piena di buche che, per un’intera settimana, la bestiola ha prodotto solo uova strapazzate… ma ora sta migliorando.»
«Cio… cioè?» chiese qualcuno simulando il verso del pennuto.
«Stamattina m’ha fatto un uovo sbattuto», concluse fra’ Girolamo.

    Ridevano tutti come bambini a quelle battute fresche e innocenti come i pensieri che li avevano condotti a quel convento.
Ridevano tutti tranne frate Giacinto, un monachello smunto e geneticamente affamato che non riusciva a staccare lo sguardo dalla ciambella. S’illuminò improvvisamente credendo d’avere scovato la sparata più grossa che più grossa non si può:
«M’ero ritirato in questo convento per trovare Dio. Ebbene, ho cercato dalle cantine alle soffitte, ho aperto stipi, bauli e cassetti: niente. Dio non esiste!», concluse trionfante.
fulvio mussoLa sua sparata, maldestra e fuori luogo, spense molti sorrisi e accese altrettanti mormorii.
Solenne e pacato, intervenne frate Giovannino:
«No figliolo, sbagli. Tu ignori i dogmi dettati dalla Chiesa.»
Il monaco fece una pausa per dare più peso alla sua enunciazione:
«L’esistenza di Dio è una verità assoluta e inconfutabile.»
E fra’ Giovannino andò a prendersi la ciambella riservata al vincitore.

Fulvio Musso

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