L’angolo di Full: “Lo strafigo”
Il tramonto tropicale non è come alle nostre latitudini. Lo splendore del cielo riesplode ancora ed ancora, inaspettatamente, sempre con nuove combinazioni di colori mai viste, anche dopo che il sole è scomparso oltre l’orizzonte.
Lo spettacolo lasciò senza fiato sia me che la donna che era seduta all’estremità opposta della panchina. Per quanto non ci conoscessimo, ci voltammo a guardarci come a voler partecipare l’un l’altro la propria emozione. E quell’ impercettibile gesto ci accomunò.
Ci dicemmo qualche parola, ci sorridemmo molto seduti su quei legni pregni di salsedine e di tramonti. Poi passeggiammo sulla playa.
Eravamo due turisti spensierati, immersi nell’aria placida dei tropici e insieme scolammo due, tre cuba libre, insieme cenammo sulla playa, e insieme ci addormentammo in hotel dopo estenuanti ore d’amore.
Lei era una donna bellissima dal caldo fascino mediterraneo.
Io ero il fortunato protagonista di uno strano, entusiasmante evento occorsomi il giorno prima.
Dopo essere sbarcato ai tropici da un volo proveniente da Lione, avevo trascorso le prime dodici ore in albergo per recuperare il sonno e i disagi del cambiamento di fuso orario e di emisfero. Uscito infine dalla doccia m’ero scoperto in una forma smagliante e anche l’immagine che lo specchio mi rimandava era ben diversa da quella ch’ero solito vedere. Le spalle erano tornate dritte come un tempo, la prominenza addominale che io evitavo di chiamare pancia, era sparita, la pelle del viso era luminosa e liscia, ed i capelli, solitamente opachi, apparivano lucenti e persino più biondi.
La metamorfosi si completò nella notte successiva e, la mattina, dalla profondità virtuale dello specchio, mi apparve un essere quasi sconosciuto. Persino la linea del naso e della mascella s’era addolcita ed era quasi sparito anche quel brutto neo prominente accanto al mio labbro superiore. Lo sguardo aveva preso un’espressione vellutata e i miei capelli, ormai biondissimi, erano decisamente più folti.
Il cameriere che mi servì la colazione non sembrò stupirsi più di tanto, ma le giovani turiste sedute ai tavoli vicini mi buttarono brevi occhiate e due di loro mi salutarono pur non conoscendomi.
Questi comportamenti mi riempivano di dolci sensazioni e di sotterranei turbamenti, abituato com’ero alla mia totale insignificanza fisica. Ma, in qualche modo, ne ero anche preoccupato.
«Mi riconosce?» chiesi all’operatore linguistico che si occupava delle comitive di lingua francese e fiamminga.
«Certamente: lei è monsieur Duval. Mi sembra alquanto sorpreso della sua forma smagliante.» L’operatore parlava con un tono neutro.
«Più che sorpreso sono turbato» confessai. In realtà, la reazione naturale dell’operatore m’aveva già rasserenato.
«Non è il caso di preoccuparsi ma di approfittarne. Sono i suoi bioritmi che interagiscono col cambiamento di latitudine e di emisfero. Non capita spesso, ma non è nemmeno una rarità» mi informò l’operatore.
«Se preferisce» proseguì quest’ultimo «si consideri un beneficiato di sant’Apolinar, il locale protettore dell’amore. Secondo le credenze locali, questo santo aiuta gli sfortunati in amore favorendone l’aspetto fisico. Comunque, si tratta di un effetto solitamente passeggero.»
Le ultime parole non mi piacquero granché, dato che mi stavo adeguando molto rapidamente a quella nuova, splendida condizione di gran figo.
«’Solitamente passeggero’ significa che può anche permanere?», chiesi con finta noncuranza.
L’interprete fece un largo gesto, tipico dei francesi, che sta per “può darsi… chi lo sa!”.
Con quel credito d’amore avallato da sant’Apolinar, m’ero quindi incamminato verso la playa vagheggiando clamorosi recuperi comprensivi degli interessi e, macinando questi sentimenti, avevo poi incontrato quella strepitosa bellezza mediterranea.
Il prepotente sole tropicale non riusciva a sfondare le pesanti tende della nostra stanza d’hotel. La donna, spossata per la notte quasi insonne, indugiava nel letto mentre io ero appena uscito dalla doccia. Forse avevo esagerato con l’eros perché non mi sentivo troppo in forma. M’apprestai a radermi e man mano che il rasoio liberava la pelle dalla schiuma, ritrovavo nello specchio le mie familiari sembianze alle quali sono talmente abituato che nemmeno ci facevo caso. Solo in ultimo sobbalzai. Ero tornato esattamente quello di prima! Intronato com’ero, di sonno, pensai d’aver fatto nient’altro che un lungo e stupido sogno, ma gli indumenti intimi della donna, sparsi qua e là, mi dissero di no.
Forse il mio credito d’amore s’era bell’e che estinto, o sant’Apolinar s’era ricreduto. Oppure, gli eccessi della nottata avevano influito negativamente. In ogni caso, i miei bioritmi, ormai assuefatti, non interagivano più con la magia dei tropici e quella fugace metamorfosi s’era rivelata una specie di bufala.
Guardavo lo specchio inebetito. Come avrei potuto presentarmi alla meravigliosa creatura che mi stava aspettando? Schiusi la porta del bagno e la vidi ancora immobile nel sonno.
“Grazie, addio e buona fortuna, mio incantevole amore!”
Scrissi rapidamente il biglietto e, prima di andarmene, volli sfiorala con un bacio. M’avvicinai al letto, in punta di piedi.
All’ultimo istante rinunciai al bacio. Anche i bioritmi della donna avevano smesso di interagire e, per sant’Apolinar, quella racchia che stava ronfando a bocca aperta, doveva avere un credito d’amore ben più consistente del mio.
Fulvio Musso