L’angolo di Full: “Il trumeau”
Il trumeau
“Porto Ceresio, lì 12 marzo 1912
Oggi, le brume non vogliono abbandonare il lago. Non c’è raggio che le dissolva: oggi non diventeranno, non diventeremo cielo.
Riportami il tuo sorriso Amore mio… Amore mio! M…”
“Porto Ceresio, lì 26 marzo 1912
Amore, forse non so amarti come tu vorresti, tante volte ho sbagliato, tante volte ho disarmato il tuo amore, ma credimi, ti amo per quello che sono capace di amare.
Non ti chiederò di riconoscere nostro figlio, di essergli padre. Lui non merita un feticcio di papà, ma un papà vero. Ti chiedo solo di rompere questo silenzio che mi uccide… Aiuto! M…”
“Porto Ceresio, lì 20 aprile 1912
Forse hai soltanto creduto di amarmi. Me ne sto convincendo. Tu abbracciavi ciò che stava fra di noi: amore, passione, desiderio. Occupavano tanto spazio che le tue braccia non arrivavano a me. Spegniamo quest’ultima fiammella: non sono per le lunghe agonie.
Il nostro bimbo è qui che gioca: amalo, amalo dolcemente, almeno da lontano. Lui, forse, se ne accorgerà. M…”
Era uno splendido trumeau dell’ottocento, in noce, con intarsi in acero e bosso. Il vecchio antiquario sapeva il fatto suo e lasciava i clienti soli con l’oggetto dei loro desideri per dare modo e tempo all’idillio di sbocciare. Lo scrittoio a ribalta era ampio e comodo, elegante l’alzata con i cassettini, i piccoli vani a giorno e gli stipi segreti. Con qualche malizia ne cercai i meccanismi e, premendo una borchia d’ottone, ruotò un piccolo pannello a svelare quelle lettere, quasi fossero parte integrante del mobile. La carta pregiata, il tenue profumo e l’inchiostro sbiadito dal tempo aggiungevano fascino alle parole. Ben più preziose di quelle parlate, che sono fatte d’aria e all’aria tornano, le parole delle lettere sono aquiloni di carta che volano lontano. E quelle amorose o clandestine possono persino incontrare l’eterno, celate in segreti stipi… per sempre. Non come l’amore…
L’antiquario esponeva e abitava in un antico palazzo patrizio. La stanza affondava in languidi sfarzi con pareti tappezzate di stoffe talmente spesse che le mie parole avrebbero potuto penetrarvi, svanirvi, morirvi. Non così il mio pensiero, ancora avvolto nelle brume di un lago e di un tempo lontani. I toni tenui e armoniosi degli arredi accarezzavano lo sguardo. L’ampia vetrata s’affacciava sul parco dove una leggera pioggia autunnale accompagnava quella più lenta delle foglie morte e un’altra pioggia più densa, intima, improvvisa e, allo stesso modo, silenziosa.
Fulvio Musso