L’ARTE ESPRESSIVA DELLA CINEMATOGRAFIA CHE NON ESCLUDE L’HANDICAP
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
È da un po’ di tempo che non si leggono rassegne di filmografia al cui centro si “impone” (a pieno titolo) l’handicap come soggetto protagonista. Eppure, anche questa realtà fa parte del tessuto sociale il cui valore-contributo esprime la necessità di superare l’ideologia del cosiddetto diverso… Evidentemente figure di disabili disposte a far parte di un copione per una trama, specie se impegnativa, non sono facilmente disponibili; tuttavia, basterebbe fare un po’ di ricerche per individuare qualche iniziativa che negli ultimi due-tre decenni hanno contribuito a “mettere in luce” con la cinepresa messaggi di socialità e di uguaglianza. Fra queste ricordo che il Comune di Torino nel 1993 organizzò il I° Festival europeo cinema handicap “Noi e gli altri”, il cui bilancio fu decisamente positivo. Sotto l’insegna emblematica di questo titolo si poterono proporre nuove esperienze che avrebbero facilitato una operazione culturale tali da andare oltre la manifestazione. Ma perché questa iniziativa tanto da meritare addirittura un vero e proprio “Festival”? Il parere degli organizzatori evidenziò che le persone che hanno delle difficoltà (motorie e/o sensoriali) sentono il peso della emarginazione, soprattutto quando vengono discriminate (oggi più che mai, ndr) nella scuola e nel lavoro, ma anche quando non possono usare, come tutti le opportunità ludico-ricreative, occupazionali, sportive e culturali. Fu una iniziativa prima in assoluto in Italia, promossa dall’assessorato alla Sanità e all’Assistenza della provincia subalpina, in collaborazione con vari enti ed associazioni. Delle 45 pellicole prodotte da cinque Paesi e presentate alla rassegna, 14 furono selezionate dalla giuria, e 12 risultarono fuori concorso.
Il film, dell’88, e della durata di circa 43 minuti, è una storia d’amore raccontata con grande sensibilità e tratti di ironia in “Note a margine”, del regista bergamasco Alberto Preda (oggi scomparso) che conquistò il premio, tanto che vale pena rammentare la trama. “Walter, il protagonista del film, è un uomo con gravi problemi di mobilità, di gestualità e di comunicazione verbale; per questa ragione, e per pregiudizio (fatto non insolito, ndr), è quasi considerato incapace di pensare e di provare sentimenti. Ma invece, lui, è un uomo con tutti gli interessi, i sentimenti e i desideri di un adulto “normale”. In palestra è circondato da assistenti giovani e graziose, ed appare ben presto evidente la difficoltà di una sessualità difficile da vivere nella condizione di persona con handicap”. Il film affronta questa problematica descrivendo (senza edulcorazioni) il progressivo e difficoltoso dialogo che si instaura tra il protagonista (un disabile fisico che interpreta se stesso) e l’assistente più giovane, e si conclude quando le loro parole e i loro pensieri incominciano ad intrecciarsi.
La giuria (presieduta dall’attrice Marisa Fabbri (nella foto, 1931-2003) premiò per il secondo posto gli interpreti del film “Jekens op de vloer” (“Segni sul pavimento”) della regista olandese Jalien Van der Mee; un lavoro che ha seguito la preparazione di una performance di danza, basata sulle idee espresse da una persona affetta da handicap mentale che recitava la parte principale. Un premio speciale fu riconosciuto dalla giuria al regista inglese Stephen Dwoskin per l’insieme del suo itinerario artistico, menzionando la partecipazione della cinematografia francese, la più presente e attenta nel suo insieme alle tematiche dei disabili. Il suo, si trattava di uno spazio volto alla ricerca, uno spazio di incontro tra questa conoscenza grezza e, talvolta, solo intuitiva nei confronti della padronanza delle tecniche e delle modalità interpretative e creative di chi professionalmente fa del cinema. Ma perché rievocare un evento simile a distanza di anni? Oltre ad onorare la memoria del regista Preda, che come hanno ricordato alcuni mass media, è stato capace di raccontare le diverse sfaccettature della disabilità attraverso immagini, parole ed emozioni; personalmente intendo porre l’attenzione su momenti di riflessioni di cui c’é sempre più bisogno, e poter uscire da un mondo di emarginazione partecipando attivamente alla crescita di una cultura non solo europea affinché l’handicap non sia dimenticato, ma sia soprattutto condiviso. E ciò perché se non lasciamo che la persona (disabile o non) si esprima come tale, le neghiamo quella dignità che le è propria e che vorremmo per noi stessi.