L’ASSISTENTE SOCIALE: UN PROFESSIONISTA AL SERVIZIO DELLA COLLETTIVITÀ

Diverse le aree di operatività per le quali è richiesto un titolo di studio universitario, ma soprattutto sensibilità per i drammi dell’esistenza umana. Nella maggior parte dei casi opera nell’ambito della P.A., ma anche come libero professionista.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Nel vasto arcipelago delle problematiche sociali, specie quelle in ambito socio-sanitario e assistenziale, sovente si ha bisogno delle competenze dell’assistente sociale. Una figura che molti avranno conosciuto e fruito della sua assistenza. Ma chi è l’assistente sociale? E quali le sue competenze ed azioni di intervento? Nell’ordinamento giuridico è il professionista (solitamente donna, ma ciò è irrilevante) che lavora nell’ambito dei servizi sociali, appunto, ed è al servizio della comunità intesa come singoli individui, famiglie o gruppi di persone, con il compito precipuo di prevenire e risolvere situazioni di disagio sociale e di bisogno. Questa/o professionista può aver conseguito la laurea triennale e, se specialista, la laurea magistrale. In entrambi i casi devono aver superato l’esame di Stato ed iscriversi al proprio Albo di categoria per l’abilitazione professionale. (La presenza di un Codice Deontologico ha consentito di ottenere nel 1993 l’istituzione dell’Ordine professionale con l’emanazione del Regolamento attuativo del DPR n. 615/94. L’Ordine Professionale è stato, quindi, uno degli obiettivi dopo il riconoscimento del titolo di studio, voluto e per questo sempre sostenuto dalla Associazione). Le sue linee di intervento comprendono minori, tossicodipendenti, soggetti con problemi di tipo psichico, disabili, anziani, immigrati, persone che scontano una pena detentiva alternativa. Se hanno un ruolo tecnico si occupano di servizi di ricerca, assistenza tecnica e sociale; se hanno un ruolo professionale operano in ambito sociale o in affiancamento a quello sanitario, ma anche in quello amministrativo della P.A., e tra i suoi compiti rientra quello di analizzare e vagliare le domande ed i bisogni dei cittadini. Ella/Egli può lavorare in vari enti che comprendono il consultorio, l’unità multidisciplinare per l’età evolutiva o per l’handicap, il dipartimento di salute mentale, il centro contro le tossicodipendenze, le unità geriatriche; mentre nell’ambito della P.A. può lavorare presso il Tribunale per i Minorenni o negli uffici del Ministero della Giustizia dedicati ai servizi sociali per minorenni o per adulti, nonché all’interno del carcere. Inoltre l’assistente sociale può lavorare come libero professionista in proprio, oppure associato o convenzionato con enti pubblici e/o privati. È una figura professionale, per certi versi, come tante altre, il cui input dovrebbe essere l’agire in modo da favorire la vita. Ma quali sono le qualità che diventano imprescindibili nella professione dell’assistente sociale? Secondo la dr.ssa Patrizia Lisi, assistente sociale specialista, esperta di pianificazione e progettazione sociale: «Sono la capacità di lettura dei bisogni, l’ascolto empatico, la disponibilità al dialogo, il riconoscimento dei risultati raggiunti e la stimolazione alla collaborazione terapeutica, l’autonomia professionale, la capacità di lavorare in équipe, l’onestà intellettuale nell’ammettere i propri limiti, il segreto professionale e il rispetto per la privacy». Inoltre, l’assistente sociale è un professionista cui è demandato di utilizzare  mezzi, strumenti, tecniche e metodi specifici al fine di porgere, oltre al sostegno psicologico, quell’aiuto materiale predisposto per prevenire o eliminare lo stato di insufficienza o di bisogno dei singoli individui e della comunità. Insomma, un operatore sociale “a tutto tondo” che, a mio modesto avviso, dovrebbe sapersi porre anche di fronte ad ostacoli burocratici che spesso non favoriscono l’ottenimento dei risultati che il fruitore si aspetta di ottenere.

E proprio a questo riguardo, quando si verificano determinate difficoltà per lo più originate da incomprensione e/o rigidi atteggiamenti da parte della P.A. nei confronti dei cittadini, e l’assistente sociale per una qualunque ragione non intende prendere posizione (“opportunismo relazionale”), come mi è capitato anni orsono nel seguire qualche caso come libero cittadino votato alla solidarietà sociale, l’interessato può “revocare” l’incarico alla/al professionista e rivolgersi ad altra figura; in caso di controversie la prassi vuole che si interpelli l’Urp della P.A. di riferimento segnalando la difficoltà incontrata, al fine di ottenere attraverso tale mediazione un concreto riscontro, se non anche la definizione del proprio problema. Per i casi più ostici e di una certa gravità (assai rari) vigono determinate procedure di legge. Ma io credo che quando il cittadino possiede tutti i requisiti della sua situazione, ed espone le proprie esigenze nella massima trasparenza, solitamente si addiviene alla definizione, a patto che fra le parti si instauri un rapporto empatico come si conviene a tutte le persone di buon senno e razionali. Anche per questa categoria professionale è previsto un Codice Deontologico il cui contenuto, in sintesi, comprende la definizione e potestà disciplinare, una serie di princìpi, responsabilità nei confronti della persona utente e cliente (termini che a mio parere andrebbero rivisti), la riservatezza e il segreto professionale; la sua responsabilità nei confronti della società, di colleghi ed altri professionisti, dell’organizzazione di lavoro, della professione, etc. Infine, come tutte (o quasi) le professioni, anche quella delle/degli assistenti sociali fa parte della Associazione nazionale degli Assistenti Sociali (ENAS), e dal 1948 fa parte della Federazione Internazionale di categoria. Personale considerazione: come in tutte le professioni i cui destinatari sono persone umane, ancorché fragili e bisognose, anche quella dell’assistente sociale richiede una determinata predisposizione al rapporto umano, ancor prima del conseguimento del relativo titolo di studio; diversamente verrebbe meno tale ruolo!

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