Latina: Genio amministrativo e pazienza degli italiani
Dopo un’ora circa dalla partenza mi avvio alla toilette. L’addetto che ho visto salire con la sua divisa arancione fiammante e la sua valigetta è proprio lì, davanti ai servizi posti all’altra estremità della carrozza intento a fare quello che ha già fatto all’altro capo: affigge i cartelli di avviso dei bagni fuori uso! Sono sconcertata anche perché il treno è da poco partito e non posso fare a meno di dirgli: “Ma come! Si comincia a fare qui come sugli intercity dove anche per quattro vagoni di seguito era possibile trovare bagni fuori uso”! Mi guarda e con l’aria più innocente del mondo mi dice: “Signora sono guasti”! Si capisce fin troppo bene che il problema travalica di molto il suo ristretto limite interpretativo professionale: l’affissione!!
All’arrivo a Roma un avviso di servizio: “si avvisano i signori passeggeri che il sottopassaggio… è chiuso dalle 08 alle 22.00 per contrastare l’illegalità !!!” Ho capito bene? L’illegalità?! Penso si riferisca ai rivenditori di cd, oggetti esotici e borse taroccate. Ma questi non devono temere: possono sempre utilizzare il sottopassaggio come dormitorio dopo le 22.00, visto che a quell’ora è aperto! Nel frattempo si lasci pure che i diritti della maggioranza siano conculcati dall’impudenza di pochi! Bazzeccole! Ormai ci siamo abituati! Gli italiani sono fin troppo pazienti!
Nella mia città, Latina, non lontano dalla chiesa del Sacro Cuore e dalla Curia, quattro mesi fa hanno tagliato un superbo eucaliptus perché alla sua ombra qualche disgraziato vi aveva arrangiato il suo riparo!..(lo stesso sito in cui ogni anno, puntualmente, effettuano la pulizia nel periodo della cova degli uccelli di piccola specie che in quella nicchia ecologica trovano asilo)..Ma questo è niente! Un comune aquilano per contrastare la prostituzione ha pensato bene di punire, per favoreggiamento, suppongo, un intero bosco lungo la strada della bonifica del Tronto, per il quale ha decretato l’abbattimento!…
Ma che genere di cialtroni dettano leggi nelle nostre amministrazioni?
Recentemente ho soccorso un cane: si trovava spaventato e disorientato nel pieno traffico urbano della mia città, Latina, in prossimità di una rotonda di svincolo verso la città e zona mare. Il termine degli evidenti disagi di automobilisti zigzaganti nel tentativo di schivare l’animale e/o prevenire le sue intenzioni, c’è stato quando il cane, per sua fortuna, si è lasciato convincere ad avviarsi in zona sicurezza. Ed è iniziata l’odissea: verifica di eventuali ferite, presenza microcip, possibili indicazioni sul collare, chiamata al canile, notifica ai vigili… I vigili arrivano ed allertano l’asl veterinaria di competenza. Dopo un rimbalzo di telefonate, l’addetto al recupero, ispeziona il collo dell’animale con il detettore di microcip (che non rintraccia), lo avvia alla gabbia sita nel furgoncino e lo trasporta all’ambulatorio. L’indomani con incredulo sgomento, mi sento dire che il cane di grossa taglia, che è già rimasto in gabbia nella notte (presumibilmente in posizione distesa data l’inadeguatezza) , lì vi rimarrà fino a quando il canile non darà l’ok per il trasferimento. Protesto ed ottengo il cane in affido. È rimasto a casa mia fino al rintraccio del padrone. Una domanda: ma chi controlla l’asl veterinaria in questione? Il cane, accidentalmente sfuggito dall’abitazione, aveva il microcip e gli è stato rimesso; la gabbia che lo ha “ospitato” è un contenitivo metallico rettangolare addossato alla parete della saletta (che è anche il posto di accoglienza e registrazione dei ricoveri), divisa in quattro parti dove ci stanno altri tre disgraziati (uno, da questa estate) e non ci sono, mi pare, altri sfiati esterni aperti; sempre visibile dalla saletta d’ingresso, dopo la gabbia si apre uno sgabuzzino che funge da sala operatoria; in una saletta al lato opposto della gabbia, c’è una pila di trasportini con dentro gatti straniati e miagolanti. La sensazione sgradevole è quella di un piccolo, inadeguato, affollato e penoso lager. Le persone che vi lavorano e che ho conosciuto, fanno quanto possono in condizioni logisticamente inadeguate e conseguentemente, precariamente igieniche. E tengo a precisare che questa non è affatto, nemmeno intenzionalmente, una demonizzazione nei loro confronti! Da una sommaria ricerca sull’operabilità ambulatoriale mi risulta: la percentuale di “ospiti” che vi transitano, infettandosi, è considerevole, così i casi di reimmissione di microcip. A conti fatti è ben lontano da giustificare i costi che la comunità sostiene. Ma, tranquilli: tutto è perfettamente nella legalità! Chissà perché di fronte a queste scene mi torna sempre in mente l’epitaffio scritto sulla tomba di Richelieu: FECE BENE IL MALE E MALE IL BENE; è la seconda perifrasi che rimbalza a pennello su questo ed altri mostri amministrativi che pretendono di sfolgorare per efficienza..
Il cittadino che dovere civico o per amore soccorre un malcapitato animale, ha tassativamente due scelte: a) il “fai da te” con tutti i rischi ed oneri connessi; b) far finta di nulla e proseguire il più lontano possibile per non incappare direttamente dal traffico urbano in quello della demenza burocratica, della irresponsabilità, del pressappochismo formale, della supponenza del potere o vai verso il NIENTE ( se l’animale NON È FERITO o NON È PERICOLOSO va lasciato lì..)… e la carta dei diritti degli animali finisce nell’immondizia, come tante altre iniziative positive, a memoria dell’imbecillità umana. Dove sono i poteri che ne devono tutelarne l’ottemperanza entro criteri di decoro e senso civico? Non è forse vero che molto spesso, sono proprio le nostre amministrazioni che si sentono autolegittimate all’esonero o alla deroga a tempo indeterminato in materia di ottemperanza alle leggi perché tanto “le cose vanno così?. “I diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo”. Art.14b della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale.
E che dire dei tanti surrogati emotivi fini a se stessi ed avulsi da ogni concreta e responsabile visione della realtà intorno a noi; surrogati diventati show e moda, ammanniti esemplarmente da articoli di questo tipo titolato: “noi che viviamo in capanne e siamo felici”. Il riferimento è ad una comunità di ungheresi stanziati presso un canale di Latina in condizioni di illegalità e degrado, per la quale il volontario articolista, in bella foto di famiglia, annota: “vivono come possono; accettano offerte e recuperano rame per rivenderlo; hanno diritto di rimanere perché provenienti da area europea”. ( tratto da “il caffè” di Latina n.209). Improvvisamente il degrado diventa virtù, e tutti si sentono ignaviamente buoni. Davanti a questo? In quale sperduto angolo dorme la responsabilità personale e collettiva dinanzi all’aumento esponenzialmente inarrestabile di fatti di questo tipo nel nostro paese? Ma, è semplicemente mostruoso! Il dilemma primo non è necessariamente accogliere/respingere, ma vagliare se, in un’ottica di responsabilità che garantisca doveri e diritti per tutti, indistintamente, siamo oggi in grado di gestire, non demagogicamente, ma realisticamente e decorosamente, fenomeni di questo tipo inscrivendoli nella più generale ottica delle reali potenzialità integrative di questo paese! Non dimenticando che queste persone sono le stesse che entreranno trasversalmente, a pieno titolo, in tutte le compagini sociali: sanitarie, educative, lavorative, abitative, civili, ecologiche le quali, lo vediamo bene, soffrono già di cronica asfissia gestionale in tutti i loro aspetti. Siamo in grado di riorganizzarle efficientemente e renderle idonee all’aumentata utenza? Nella realtà la strada che stiamo percorrendo ormai da troppi anni, è iI “lasciar correre”. E’ la “non gestione” del problema. È la compressione avvilente e disperante verso il basso, il mediocre, l’inefficiente, lo squallido, in una immota ed inarrestabile narcosi generalizzata. L’eutanasia civile. È produttivo? Non mi pare, a giudicare dal generale disagio e degrado ambientale ed umano che tutti ci demotiva ed angoscia. La convivenza civile non può fare a meno di limiti e regole perché queste servono a tutelare i diritti e la sicurezza di tutti (immigrati compresi), in un contesto urbano in cui, realisticamente, il “naturalmente buono” non esiste.
Di fronte a questa generale e deprimente condizione amministrativa in Italia, ci è chiesto di ritrovare un sussulto di civile coraggio ed indignarsi. Si può e si deve lottare! Ma per l’imbecillità diffusa come un cancro, ahimè, non vedo via di scampo! Ed è davvero disperante.
Emanuela Verderosa