L’AUTOREVOLEZZA E L’UMILTÀ A CONFRONTO
È giusto pagare per relazionare in pubblico specie se si è invitati?
di E.B.
In oltre sei lustri di divulgazione, prevalentemente di carattere medico-sanitario, medico-scientifico e culturale, ho presenziato con diversi ruoli: recensore, relatore, moderatore, discussant. Un impegno che mi ha visto su più fronti in cui alla base organizzativa degli eventi (congressi, convegni, giornate di studio, conferenze, simposi, master, interviste, conferenze stampa, etc.) ho sempre fatto onore meritando gli inviti (e l’ospitalità) dei promotori nel seguire i lavori e nel dar seguito alla diffusione degli stessi. Tutto ciò rientra nella norma, ma mai mi è stato chiesto al momento dell’iscrizione, soprattutto come relatore, di versare una quota di partecipazione. Ciò è quanto mi è accaduto recentemente (documentazione in archivio), invitato a tenere una relazione pubblica per una importante Società italiana (tralascio il settore) con richiesta degli organizzatori di versare un certo importo (sia pur esiguo) al momento dell’iscrizione. Questa che io definisco una “indelicatezza” professionale, è anche un “insulto” alla mia dignità professionale e di persona, come se il mettere a disposizione il proprio sapere avesse una maggior importanza per chi organizza; mentre solitamente e ovunque, la propria disponibilità professionale non solo ha un suo valore intrinseco, ma per certi versi potrebbe meritare addirittura un “compenso” (come solitamente avviene in altri Paesi), cosa che peraltro non ho mai preteso ed ho rifiutato quelle rarissime volte che mi è stato offerto quello che io definisco un “presente di circostanza”. Or bene, a fronte di molti personaggi, anche autorevoli, che si fanno pagare per una prestazione professionale di carattere culturale anche in qualità di relatore, a maggior ragione trovo eticamente disdicevole richiedere ad un relatore di partecipare con una quota di iscrizione; inoltre si rasenta l’ipocrisia in quanto mi è difficile immaginare se tale richiesta venisse fatta ad un cattedratico di fama per una Lettura Magistrale, in fin dei conti quando ci si presta (su invito) per offrire il nostro acquisito professionale, si è in qualche modo “altruisti” e partecipi alla crescita socio-culturale, se non anche professionale. Chi scrive notoriamente non è un venale, ma fedele (e di diritto) alla cosiddetta questione di principio, e questa non è una frase di circostanza, ma una affermazione che fa parte del proprio bagaglio etico e comportamentale. Detto questo, non vi è in me alcuna avversione nei confronti di chicchessia, ma l’amarezza e la constatazione che il denaro condiziona continuamente gli esseri umani in ogni dove e per qualunque iniziativa (sovente anche nell’ambito del volontariato), cercando di “disturbare” pure quelli che per scelta rifuggono da esso donando sé stessi… anche solo offrendo una “semplice “ relazione ad un convegno scientifico e/o culturale. Ma dimenticavo: spesso è l’importanza dell’argomento in programma a quantificare in dare o avere, ma a volte anche l’autorevolezza dell’invitato relatore perché si porti a compimento una qualsiasi iniziativa congressuale!