LE LISTE DI ATTESA NEL SSN: L’ETERNO MURO DI GOMMAPIUMA
La normativa è tuttora in vigore ma quasi nessun cittadino la conosce o non è in grado di farla rispettare, verbalmente e tanto meno per iscritto.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Vogliamo o non vogliamo affrontare una volta per tutte il problema delle liste di attesa? Vogliamo pretendere di ottenere nei tempi dovuti le prestazioni sanitarie dal SSN, oppure continuare ad “incrementare” la produzione e i lauti guadagni della Sanità privata, se non addirittura rinunciare a farci curare? In questi tre anni l’evento pandemico ha certamente allungato i tempi di attesa sia per ottenere una visita specialistica (ospedaliera o territoriale) che per un esame strumentale; ora che la pandemia va scemando, e che gli ambulatori dei medici di famiglia non sono più frequentati come una volta, le liste di attesa continuano ad essere tali tant’è che sono sempre molti i pazienti che reclamano di non ottenere le prestazioni nei tempi dovuti, nonostante il medico prescrittore abbia indicato il codice di priorità Urgente (3 giorni), Breve (10 giorni), Differita (30 giorni) o Programmabile (120 giorni). A questo punto c’è da chiedersi quanto valore “legale” abbiano i codici di priorità se non vengono rispettati dalle Asl del territorio o dagli ospedali. Eppure la legge relativa al Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) per il triennio 2019-2021 è ancora in vigore… anche se non aggiornato alla data di oggi (2023); e a questo riguardo si impone il concetto giuridico che sino a quando una Legge non viene abrogata o modificata essa permane nella sua validità, e pertanto va rispettata: la ratio vuole che se una norma di Legge non si è in grado di farla rispettare, o la si annulla o si procede ad aggiornarla. Poiché un medico è un pubblico ufficiale, va da sé che quello che dichiara e/o prescrive ha valore medico-scientifico e legale, di conseguenza sta al cittadino attivarsi verso chi di dovere affinché quello che gli è stato prescritto venga osservato, in caso di impossibilità si richieda uno scritto di “impossibilità” e, in caso di diniego, l’interessato cittadino-paziente ha diritto a tutelarsi con un “esposto-diffida” a titolo cautelativo. Contestualmente va ricordato che la Legge n. 266/2005 (tuttora in vigore) stabilisce che “è vietato sospendere le attività di prenotazione delle prestazioni” (fatte eccezioni per le visite non urgenti unicamente in periodo pandemico). Sottolineo inoltre che la prestazione va erogata nei tempi indicati dal medico di famiglia e/o lo specialista del territorio in base alle condizioni di salute e, se i tempi massimi non sono rispettati, si può inviare all’Asl una richiesta (allegando copia del certificato medico) affinché provveda ad erogarla nei tempi richiesti in strutture pubbliche o accreditate (quindi in convenzione); se non si trova posto, si può chiedere di ottenere la prestazione in intramoenia, senza oneri aggiuntivi, ossia pagando solo il ticket se non si è esenti (Dlgs n. 124/1998). Dicasi altrettanto per la prescrizione di un intervento chirurgico, ossia per le prestazioni in regime di ricovero, day hospital e day surgery indicate nell’elenco del PNGLA, sono stabiliti i tempi massimi di attesa e le classi di priorità sono: “A” entro 30 giorni, “B” entro 60 giorni, “C” entro 180 giorni. Per tutte le prestazioni di ricovero, specialistica e diagnostica strumentale possono essere effettuate su tutto il territorio nazionale, ma è la propria Regione a doverle garantire nei tempi previsti. Gli elenchi relativi ai tempi di attesa devono essere pubblicati, e il PNGLA stabilisce che le Regioni e le Aziende sanitarie devono utilizzare i mezzi più idonei per comunicare il più possibile le modalità di accesso alle prestazioni sanitarie e i relativi tempi di attesa. Insomma, investire non solo in denaro ma vi sia più trasparenza e più collaborazione tra P.A. e cittadini. Un’ultima personalissima osservazione: si sostiene che manchino medici (oltre ad infermieri), ma se i professionisti del pubblico (a tempo pieno) presenziassero meno anche nel privato (pur essendo un diritto), probabilmente le liste di attesa diminuirebbero un pochino, e minore sarebbe il ricorso alla sanità privata. Poi, “per forza di causa maggiore” le eccezioni sono comprensibili e scontate, ma non dovrebbero essere la regola! Una provocazione? Non direi, giacché sono ancora molti gli italiani “costretti” a dar fondo ai propri risparmi, se non addirittura rinunciando a farsi curare.