Quando le mura raccontano la storia
Riceviamo e pubblichiamo:
Siamo abituati noi italiani alla presenza quotidiana della nostra Storia antica e medievale narrata dalle mura, tanto da rimanere, di solito, del tutto indifferenti a questa realtà millenaria, troppo lontana dall’oggi. Altrove, però, le mura narrano di una Storia più recente, di una Storia che ancora fa male, scava ferite, agita coscienze. Mi riferisco alle mura di due città, Praga e Berlino.
Praga: subito dopo l’ingresso nella zona del vecchio cimitero ebraico, quello per cui Umberto Eco ha scritto il suo ultimo romanzo, si entra in un fabbricato con dei vasti spazi. Le mura, viste da lontano, sembrano decorate da segni piccoli piccoli, fitti, tanti, tutti uguali, ripetuti in maniera quasi ossessiva, niente spazi vuoti, niente margini sulle quattro mura di due stanze grandi, vaste ed alte. Si rimane sconcertati, ma di che si tratta?
Ecco, avvicinandosi e guardando con attenzione, chiaramente si leggono nomi e cognomi di persone, seguiti da due date, quella di nascita e quella di morte. Diverse le prime, quasi uguali le seconde, narrano il destino di gente di tutte le età, bambini, uomini e donne giovani e anziani. Per ognuno di loro compare una di queste tre date di morte: 1942, 1943, 1944. Entrata concretamente nella storia della Shoah, sento intorno a me la presenza inquietante di milioni di ombre di persone innocenti mandate in fumo dall’odio per il diverso, in nome della conservazione della identità cristiana. Mi domando: ma quanti nomi sono? Starà certamente scritto nei registri dell’archivio, non lo so con precisione, migliaia, centinaia di migliaia, milioni. In quei vasti saloni, le ombre afferrano cuore e cervello. Si resta senza parole, senza respiro, il cuore accelera i battiti.
Berlino. A Potsdamer Platz, vedo un pezzo di muro situato in uno spazio aperto, decorato in modo a prima vista incomprensibile. Osservando con attenzione si capisce che altro non sono che gomme americane masticate, appiccicate sul muro, tante, ad altezza d’uomo, più in alto emerge un muro grigio di cemento, un ricordo, un frammento di quello che fu il muro della vergogna.
Più in là, dopo i grattacieli sontuosi e luminosi proiettati nel futuro, ecco il ricordo di quel mondo passato che produsse il male assoluto. Oggi il male assoluto, a ricordo eterno per la Germania e per il resto del mondo, è testimoniato dal memorial della Shoah degli ebrei. Un ampio riquadro all’aperto riempito da un labirinto di mura di cemento grigio, dove si entra sprofondando sempre di più in ambienti privi di vie d’uscita. Sullo sfondo di quei corridoi da incubo si vedono dai quattro lati le mura della città, ad indicare al visitatore di oggi una via d’uscita. Accanto, il ricordo della Shoah di Rom e Sinti, fatto di acqua, invece, un tranquillo laghetto in mezzo al verde.
E poi, la Porta di Brandeburgo, semplicissima nel suo ambiente naturale, non appare così grandiosa come nelle immagini a tutti note, anch’essa racconta storia recente. Una storia di chiusure, divisione e odio, vita vissuta per gli anziani, libri di storia per i giovani.
Da ricordare a questo punto che negli anni ’40 la democrazia americana versò sangue per aiutare l’Europa a liberarsi dagli orrori del nazifascismo. Pertanto oggi non ci resta che augurarci che il sistema abbia la forza per resistere al ciclone di questo presidente ultraconservatore e rozzo populista che porta al governo i suprematisti bianchi che si dichiarano nazisti. Per ora non su mura storiche il suo nome, ma su sontuosi grattacieli da lui stesso edificati.
Emanuela Medoro
23 gennaio 2017