Le nuove cure per l’epatite C: la parola al dott. Roberto Ganga
Il Sofosbuvir sarà presto affiancato sul mercato dal Simeprevir e a breve saranno forniti a carico del Servizio sanitario nazionale altri nuovi antivirali. In questo contesto la Regione Sardegna sta facendo bene la sua parte, assicura il dott. Roberto Ganga, direttore di uno degli otto centri sardi autorizzati a somministrare il Sofosbuvir: la Medicina Interna I dell’Ospedale “G. Brotzu” di Cagliari.
Quello delle nuove cure per l’epatite C è un quadro complesso e in continua evoluzione. Basti pensare che, nel nostro Paese, mentre impazzavano le polemiche sui ritardi di molte regioni nel rendere effettivamente disponibile il Sofòsbuvir (commercializzato dalla Gilead come Sovaldi), l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) inseriva tra i farmaci rimborsabili un altro nuovo antivirale: il Siméprevir della Janssen, in commercio con il nome di Olysio. Per fare il punto della situazione, con un occhio particolare alla Sardegna, abbiamo chiesto un’intervista al dott. Roberto Ganga (nella foto), direttore di uno degli otto centri autorizzati a somministrare il Sovaldi nell’Isola: la S.C. Medicina Interna I dell’Ospedale “G. Brotzu” di Cagliari. Per completezza, citiamo anche gli altri sette centri: il reparto Malattie infettive dell’ospedale “SS. Trinità” di Cagliari; la Medicina interna del Policlinico universitario di Monserrato; la Medicina interna del “SS. Annunziata” di Sassari; l’Istituto malattie infettive e tropicali dell’azienda ospedaliero-universitaria di Sassari; la Medicina interna del “Giovanni Paolo II” di Olbia; la Medicina interna del “San Francesco” di Nuoro e la Medicina interna del “N. S. della Mercede” di Lanusei.
IN ARRIVO IL SIMEPREVIR – Partiamo dalla novità: il Simeprevir. Dott. Ganga ci informa che i centri sono «abilitati a usarlo e sono già state inviate alcune richieste». Come per il Sovaldi, infatti, per poter ricevere materialmente il farmaco e somministrarlo ai pazienti, occorre seguire una particolare procedura: «Per ogni paziente “arruolabile”, che ha le caratteristiche dettate dall’AIFA, dobbiamo compilare per via informatica una scheda e, se il paziente rientra nei criteri (ma richiediamo il farmaco solo per quei pazienti che soddisfano i criteri di eleggibilità), viene accettato. Alla fine della procedura viene stampata una pagina che dimostra che il nostro paziente è inserito nel registro AIFA e che noi poi mandiamo alla nostra farmacia. A quel punto, la farmacia ordina il farmaco; la nostra azienda, che deve anticipare la spesa, la delibera, dopodiché, arriva il farmaco e l’azienda poi si rifarà sul Servizio farmaceutico regionale che, a sua volta, si rifarà sul Servizio sanitario nazionale (SSN). Quindi, noi abbiamo già inserito alcuni pazienti che hanno necessità di utilizzare il Simeprevir. E non ci sono intoppi, solo tempi tecnici».
SOVALDI E SIMEPREVIR: DUE PERCORSI PARALLELI – Il sistema, peraltro, è già stato “collaudato” con il Sofosbuvir, che loro, ci spiega l’epatologo, hanno utilizzato in diversi casi (per una ventina di pazienti) anche con il programma compassionevole, ossia il programma che, a determinate condizioni, consente la somministrazione di farmaci in attesa di approvazione, forniti gratuitamente dall’azienda farmaceutica, senza spesa per il SSN, ovviamente con l’autorizzazione del Comitato etico. Già allora, precisa, «la nostra farmacia è stata disponibilissima, nonostante la procedura fosse complicata». Da quando il farmaco è prescrivibile (e rimborsabile a carico del SSN) sono stati arruolati per la terapia sei pazienti e stanno continuando a inserirne. Dott. Ganga, inoltre, ci conferma che anche gli altri centri sardi autorizzati stanno prescrivendo il Sovaldi senza particolari ostacoli, ad eccezione delle procedure burocratiche d’acquisto che in una prima fase possono essere meno agili del previsto. Chiediamo, quindi, se esistano stime sulle possibili richieste e ci risponde che, a suo tempo, i centri avevano fatto delle previsioni sul fabbisogno del farmaco Sofosbuvir. Il centro del “Brotzu” ha valutato il fabbisogno tenendo conto dei reparti che seguono pazienti con malattie del fegato: il suo reparto, la Medicina interna, dove operano assieme a lui la dott.ssa Maria Laura Ponti e la dott.ssa Debora Murgia; la Struttura complessa di Chirurgia generale e Centro trapianti di fegato e pancreas, diretto dal dott. Fausto Zamboni (da cui proveniva, tra l’altro, buona parte dei pazienti seguiti dalla dott.ssa Laura Mameli e dal dott. Francesco Sanna con il programma di uso compassionevole); la Struttura dipartimentale Trapianto di fegato, diretta dalla dott.ssa Maria Rosaria Piras, con la quale collabora la dott.ssa Teresa Zolfino. Secondo tali stime e tenuto conto dei diversi criteri AIFA di eleggibilità al trattamento, nell’arco di circa un anno potrebbero essere arruolati complessivamente 150-180 pazienti.
Tornando al Simeprevir, l’epatologo ci spiega che, «come il Sovaldi, è un antivirale DAAS, ossia un antivirale diretto, che non funziona da solo ma deve essere associato o con ribavirina e interferone o con un altro antivirale. Il Simeprevir lo possiamo usare nel genotipo 1 e nel genotipo 4 [l’epatite C ha, infatti, più genotipi che rispondono diversamente alle nuove terapie, ndr], pure con una malattia non avanzata, cioè F0-F2 [intervallo che indica il grado di fibrosi, ndr]. Mentre il Sofosbuvir è prescrivibile con una malattia più avanzata, cioè con i famosi criteri dell’AIFA: almeno un F3 nell’epatite C; cirrosi Child A o Child B [Child è una scala di valutazione della gravità delle epatopatie croniche, ndr]; paziente nel post-trapianto; paziente candidato a trapianto che vogliamo far arrivare all’intervento senza la malattia (perché questi farmaci garantiscono la guarigione nel 90-100% dei casi, quindi guariscono quasi tutti)….»
SOFOSBUVIR: PER MOLTI MA NON PER TUTTI – «Per il Sofosbuvir, quindi, abbiamo delle limitazioni e non è prescrivibile a un paziente che abbia una malattia poco avanzata» sintetizza dott. Ganga, che poi aggiunge: «Questa è stata una scelta, che può essere condivisibile o non condivisibile, ma il discorso è che la cifra che può essere spesa è limitata». E subito precisa che, comunque, questa disponibilità non è così ridotta, almeno per quanto riguarda la Sardegna, per la quale conosce molto bene le cifre: «Noi potremo trattare tra quest’anno e buona parte dell’anno prossimo circa 1.300 pazienti, che non sono pochi. Il numero è stato identificato in questa maniera: le quote [del Fondo stanziato per tali nuove cure, ndr] vengono assegnate in base a quanto ogni Regione contribuisce al Sistema sanitario nazionale». Un criterio di ripartizione che, però, è stato contestato da alcuni, commentiamo. «Dal Cleo, Club Epatologico Ospedaliero (Hospital Liver Club)» precisa dott. Ganga che, su nostra richiesta, ci espone la sua posizione su questo punto: «Loro propongono una schedatura a livello nazionale e io credo che fare una graduatoria nazionale da cui chiamare poi i pazienti sia molto complicato. Francamente, per la nostra Regione non mi sembra che ci sia un problema, perché i centri autorizzati tra loro collaborano e sono abbastanza». Non solo: «Questi farmaci sono abbastanza semplici da utilizzare» per cui, spiega, da parte dei vari centri c’è la disponibilità a prescriverlo su richiesta di colleghi che seguono pazienti che ne hanno bisogno. Un risultato possibile perché «noi non utilizziamo il centro autorizzato come centro di potere. La scelta dei centri – che può essere discutibile – è stata fatta perché sono farmaci estremamente cari (una terapia costa circa 50mila euro) e, siccome non li possiamo usare per tutti, bisogna essere precisi nello scegliere i criteri. Forse il pensiero di chi ha deciso di limitare i centri è evitare il rischio che possa essere prescritto in maniera impropria da un centro che ha meno esperienza. Probabilmente non è una scelta perfetta: è una scelta. E, secondo me, l’onestà mentale e l’etica dei vari colleghi possono far sì che il sistema funzioni». Un risultato possibile, in particolare, «se noi non vediamo come un potere la possibilità di prescrivere il farmaco, ma come il nostro lavoro, e se collaboriamo con i colleghi».
C’è anche un altro punto molto discusso su cui vogliamo conoscere il suo punto di vista: la limitazione per cui i pazienti che assumono Sofosbuvir mentre sono in attesa di trapianto e che non abbiano concluso il trattamento prima dell’intervento non possono continuare a riceverlo, con costi a carico del SSN, una volta trapiantati. Sul punto l’epatologo precisa, innanzitutto, che questi pazienti sono gestiti sempre in accordo con il Centro trapianti, per cui la decisione di trattare il paziente è condivisa con i colleghi di tale Centro. Il paziente viene temporaneamente sospeso dalla lista trapianti e viene reinserito dai colleghi del Centro trapianti al momento in cui ritengono che la terapia abbia ottenuto una concreta efficacia terapeutica sulla replicazione virale.
Una volta ricevuto il nuovo fegato, che è un organo sano, però, «chiaramente il paziente non ha più le caratteristiche che consentono l’accesso a questa terapia a carico del SSN, e al momento non esiste una postilla che preveda che dopo l’intervento possa continuare il trattamento per tot mesi».
Il problema, dice dott. Ganga, è che sarà necessaria una casistica ancora più ampia e una valutazione per tempi più lunghi per stabilire con certezza l’evoluzione della precedente infezione da virus C sul fegato trapiantato, così da definire se necessario e per quanto tempo trattare questi pazienti.
C’è, però, anche un’altra diatriba in corso: per alcuni trattare tempestivamente il paziente con i nuovi farmaci è fondamentale per evitare danni irreversibili al fegato; per altri, invece, la tempestività non sarebbe essenziale. Su nostra richiesta, dott. Ganga ci espone il proprio punto di vista: «Se avessimo la possibilità, dovremmo curare tutti quanti immediatamente». E argomenta la sua convinzione con l’esempio pratico di una donna affetta da epatite C non grave che voglia affrontare una gravidanza: se la si esclude dalle nuove cure dovrebbe o rinunciare alla gravidanza o rischiare di contagiare il bambino o, nella migliore delle ipotesi, curarsi con l’interferone. Non solo: «l’epatite C può essere causa di malattie extraepatiche, quali i linfomi. Inoltre, per quanto sia difficile, anche un paziente con fegato non cirrotico (quindi teoricamente non trattabile con i nuovi farmaci) può sviluppare un epatocarcinoma». Per queste ragioni, ritiene che «l’ideale sarebbe trattare tutti quanti, a prescindere dalla gravità della malattia, considerando che se faccio guarire un fegato con poco danno, faccio un grande regalo. Purtroppo, però, in questo momento non abbiamo le risorse per tutti, quindi è stata fatta una scelta, credo obbligata, visto che i fondi sono limitati. Qualcuno doveva fare una scelta e l’ha fatta, la rispettiamo e speriamo che un domani si possano allargare sempre di più queste maglie».
REGIONE SARDEGNA EFFICIENTE E SENSIBILE – Nonostante le regole e le limitazioni ricordate, si possono aiutare comunque un buon numero di pazienti; l’importante è non restare inerti, come invece è accaduto in diverse regioni. E in Sardegna? L’elefantiaca amministrazione regionale non è certo nota per efficienza, economicità e tempestività, per cui restiamo stupiti nel sentire dott. Ganga affermare che «la nostra Regione si è comportata in maniera correttissima e si è mostrata molto sensibile». Una sensibilità particolarmente evidente nei referenti dell’Assessorato regionale alla Sanità, la dott.ssa Gabriella Sirigu e la dott.ssa Donatella Garau, che «il problema lo vedono e lo vogliono risolvere». E che sia vero che in Regione «si sono mossi in tempi buoni, sono stati efficienti e rapidi» lo dimostra proprio l’ultima novità: «Il Simeprevir è stato approvato in Gazzetta l’8 febbraio e dopo un paio di giorni è stata avviata la procedura. Poi è chiaro che c’è un minimo di tempi tecnici da rispettare, però la nostra farmacia collabora al 100% e la Regione si è comportata in maniera ineccepibile. Può essere discutibile – lo capisco – che alcuni centri non siano stati autorizzati, ma d’altra parte credo che tutti i responsabili dei centri autorizzati siano persone corrette e disponibili a lavorare con i colleghi, perché purtroppo la malattia è diffusa e c’è spazio per tutti. Se fosse una malattia rara, sarebbe molto meglio per i pazienti». Tra gli epatologi sardi sembra, quindi, funzionare bene il concetto di collaborazione, certamente anche grazie all’impegno dell’Associazione Epatologi Sardi (AES). Una situazione che dovrebbe essere la prassi, ma che purtroppo sappiamo essere una rarità, soprattutto dove esistono tante strutture e professionisti capaci (tanto per fare qualche nome isolano, il prof. Luigi Demelia, il prof. Paolo Emilio Manconi e il dott. Luchino Chessa del Policlinico universitario di Monserrato, il dott. Franco Bandiera dell’ospedale “Santissima Annunziata” di Sassari, il dott. Francesco Arcadu dell’ospedale “S. Francesco” di Nuoro), le dott.sse Maria Laura Ponti e Debora Murgia che ormai da molti anni si occupano con il dott. Ganga dei pazienti con malattie del fegato nel reparto di Medicina interna del “Brotzu”) .
PRESTO IN ITALIA ALTRI NUOVI ANTIVIRALI – Quindi, tornando alle due terapie ora disponibili, «il futuro adesso per i pazienti che rientrano nei criteri è di poter utilizzare entrambi i farmaci con possibilità di guarigione del 95%. Invece, i pazienti che non possono accedere al Sofosbuvir – perché, per loro fortuna, non hanno una malattia così grave – possono usufruire, soprattutto quelli con genotipo 1 e 4, del Simeprevir in associazione con l’interferone». Ciò che, apparentemente, sembra una magra consolazione, in realtà è comunque un passo avanti rispetto al passato perché in questo caso «l’interferone si usa solo per 24 settimane: 12 insieme al Simeprevir più altre 12, quindi già abbiamo dimezzato la durata, perché noi per genotipo 1 e 4 facevamo sempre le 48 settimane». Peraltro, questa è la scelta «per quei pazienti che non possono o non vogliono aspettare la prescrivibilità di altri nuovi farmaci, che tanto verrà. Adesso abbiamo già il Sofosbuvir e il Simeprevir; Daclàtasvir esce a fine mese; ora esce Harvòni (sempre della Gilead e composto da Sofosbuvir e Ledìpasvir, che saranno assunti con un’unica compressa al giorno); il nuovo farmaco della Abbvie doveva uscire a giugno ma forse uscirà già a maggio … Sono tutti diversi antivirali da usare in combinazione, perché nessuno può essere usato da solo». Per esempio, spiega, quello di Abbvie «è un farmaco che contiene in una sola compressa tre antivirali».
Come faranno gli epatologi a governare questo complesso quadro? Secondo dott. Ganga «non faremo tutti questi trattamenti, neanche tutti quelli che abbiamo previsto, un po’ per problemi tecnici e un po’ perché non puoi seguire tutti i pazienti contemporaneamente, quindi un po’ li dilazioni». In ogni caso, «si riuscirà ad ampliare la scelta e spenderemo di meno, io credo». E con questi risparmi «si riuscirà a ridurre i criteri di accessibilità». In ogni caso, «oggi già con questi due farmaci facciamo qualcosa di più».
IL PUNTO SUI COSTI (REALI) – La maggiore scelta, quindi, porterà benefici dal punto di vista prettamente medico ma anche economico perché «ovviamente, come in tutto il commercio, quando aumentano l’offerta e la concorrenza, i prezzi si abbassano». Ed ecco un altro tasto dolente: l’elevato costo delle nuove cure. Partendo dal presupposto che «a livello teorico la salute non ha un prezzo, ma purtroppo in realtà ce l’ha», dott. Ganga ribadisce che queste cure, in realtà, consentono alla sanità pubblica italiana di risparmiare. Infatti, garantendo la guarigione, eliminano tutta una serie di spese connesse alla malattia: cure lunghe e spesso inefficaci, trapianti (ed eventuali ritrapianti in caso di recidiva), … Spese che sono complessivamente stimate in un miliardo di euro.
Del costo del Sovaldi si è ampiamente discusso, mentre poco si dice riguardo al costo del Simeprevir. Dott. Ganga non sa quale cifra sia stata concordata con la Janssen, ma può affermare per certo che costa meno del Sofosbuvir. Inoltre, ci spiega, poiché la stessa azienda produceva il Telàprevir (appartenente alla precedente generazione di farmaci anti-HCV), questa ha concordato con l’AIFA di declassare in classe C il vecchio farmaco per cui erano stati preventivati due anni di rimborsabilità a carico del SSN e di utilizzare la cifra preventivata per la distribuzione del Simeprevir. «Inoltre, per il 2014 abbiamo utilizzato meno Simeprevir del previsto, quindi sono avanzati dei fondi» spiega l’epatologo, che poi aggiunge che la Janssen ha rinunciato pure all’incremento del 20% dovuto per la fornitura di un farmaco innovativo.
Un risultato che, precisa, si deve molto alla correttezza e alle capacità del direttore generale dell’AIFA, Luca Pani (nella foto). Stesso discorso vale per il Sovaldi: grazie a una contrattazione che dott. Ganga ritiene esser stata molto intelligente, innanzitutto abbiamo “spuntato” un prezzo più vantaggioso rispetto agli Stati Uniti (35mila euro contro 55-60mila euro). In secondo luogo, abbiamo anche ottenuto che tale costo scenda all’aumentare delle prescrizioni. E, chiarisce, questo sconto non riguarderà solo le vendite che supereranno la soglia prevista, ma anche tutte quelle precedentemente effettuate.
Sempre Pani ha annunciato che la nuova strategia dell’AIFA sarà l’uscita dalla rimborsabilità del farmaco più vecchio per “far posto” a quello più nuovo, per cui chiediamo a dott. Ganga se anche Sovaldi sarà declassato: «Non credo proprio. Io credo che il Sovaldi lo farà uscire la stessa Gilead perché ha Harvoni, che venderà al prezzo dell’altro» (ossia sarà applicato lo stesso criterio concordato da AIFA e Janssen per Telaprevir e Simeprevir).
UN CAMBIAMENTO EPOCALE SE… – Trattandosi di cure che promettono la guarigione, vogliamo sapere se questo centro può già certificarne: «I pazienti del Centro trapianti di fegato, per cui abbiamo appena finito i sei mesi di trattamento con il Sovaldi, hanno risposto tutti positivamente e così pure quelli trattati in pre-trapianto». Dott. Ganga, inoltre, ci informa che i tempi di guarigione non sono uguali per tutti, per cui possono esserci risposte tardive alla terapia. Inoltre, l’esito varia anche in base alla razza, dalla quale può dipendere l’aggressività della malattia.
«Noi stiamo partecipando in maniera attiva a un cambiamento epocale nelle malattie epatiche: non è una fortuna di tutti trovarsi in una situazione di questo genere. La risposta alle cure è salita in maniera vertiginosa». Dott. Ganga ha una visione del futuro positiva ma concreta, come tale anche cauta: per eradicare la malattia, a suo parere, è necessario che non restino “sacche”, per cui occorre spingere affinché le nuove cure siano disponibili in tutto il mondo. L’epatologo ritiene che sia un diritto anche dei paesi poveri averle. «È anche nel nostro interesse» ribadisce, per poi spiegarci che il ritorno dell’epatite B e delle malattie veneree nel nostro Paese mostra proprio che l’eradicazione definitiva non può avvenire se la malattia non viene debellata ovunque. Poiché, però, è normale che il costo dei farmaci vari in base al numero di malati presenti nel singolo Paese, occorre trovare delle soluzioni di compromesso. Dott. Ganga ne ha una in mente: «L’azienda può impegnarsi ad avere dei margini di profitto inferiori, considerando che aumenterebbe la richiesta». E poi, naturalmente, si potrebbero modificare le priorità della spesa pubblica, decidendo di investire più fondi in questo settore piuttosto che in un altro. «Trovo che sia giusto che tutti quanti si impegnino, visto che abbiamo un’occasione per eradicarla, questa malattia» ma, aggiunge, «per debellarla ci vuole il vaccino».
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