I leoni svegliati e svelati da Ayelet Gundar-Goshen
Sono molto affascinata dalla cultura ebraica e il Festivaletteratura di Mantova (ma già di suo la città, con la sua splendida sinagoga) sa soddisfare anche questa mia inclinazione. Quest’anno la traccia da seguire era l’incontro con l’autrice israeliana Ayelet Gundar-Goshen, che ancora non ho letto e il cui nuovo romanzo, “Svegliare i leoni”, mi sembra molto intrigante. Ad accrescere il mio interesse per questo incontro era la presenza di Andrea Vitali – scrittore che, invece, conosco e apprezzo – nel ruolo di presentatore. Immaginate, quindi, la mia delusione nel rendermi conto che Vitali questo libro l’ha letto solo con gli occhi … e pure senza occhiali, aggiunge mia sorella. Basta, infatti, leggere la presentazione dell’incontro nel programma del Festival per capire che qui la trama è uno strumento per scandagliare gli abissi dell’animo umano e che i leoni del titolo sono chiaramente una metafora. Vitali, invece, non ha voluto o saputo andare oltre la superficie di questo libro, concentrandosi sugli sviluppi della storia e, per giunta, svelando gran parte di ciò che il lettore dovrebbe scoprire pagina dopo pagina, trattandosi di una sorta di thriller. Fortunatamente, Ayelet Gundar-Goshen Goshen – affiancata dall’eccellente interprete Marina Astrologo – ha salvato l’incontro: oltre a non aver mostrato segni di stizza per quest’inadeguata presentazione del suo libro, è riuscita comunque – anche glissando sulla goliardia spesso fuori luogo di Vitali – ad affrontare i temi profondi e scomodi che costituiscono l’essenza di “Svegliare i leoni”.
Ciò che accade al protagonista, Eitan Green, per esempio, non solo ci ricorda che «capita a tutti di dover far fronte a situazioni in cui c’è una combinazione di destino (o fato) e scelta» ma anche ci invita ad ammettere che «a volte, quando pensiamo che nessuno ci stia guardando, che Dio non ci vede, ci permettiamo di fare cose che non faremmo mai se pensassimo di esser visti». Punto di partenza di questo romanzo è stato un interrogativo, ha raccontato Ayelet Gundar-Goshen, che è sia scrittrice che psicologa clinica: «Che cosa mai siamo capaci di fare quando Colui che ci guarda sta dentro di noi?» Da qui l’idea di affrontare, attraverso la scrittura, «il timore dei leoni che hai dentro di te». Leoni che è più facile tenere in gabbia in determinate situazioni piuttosto che in altre: «Più ci assomiglia una persona, più proviamo empatia per lei; più c’è distanza psicologica, più è probabile che ti permetta di fare una cosa che altrimenti non faresti mai». E per chiarire meglio il concetto ha citato quanto fatto dai nazisti ai prigionieri appena giunti nei campi di sterminio: tagliarono loro i capelli e diedero loro delle divise. E lo fecero perché «se la tua vittima non assomiglia più a una persona, tu in quanto carnefice riesci ad avere la distanza psicologica che ti concede di fare quello che hai in mente».
Anche riguardo al rapporto ambivalente tra il protagonista Eitan e la coprotagonista o forse, meglio, antagonista Sirkit, Ayelet Gundar ha offerto al pubblico interessanti riflessioni: «Dietro un “Ti amo” detto ad alta voce ho sempre il sospetto che ci sia un po’ di odio di cui la persona non può parlare. Dietro un “Ti odio” detto ad alta voce ho sempre il sospetto che ci sia un po’ di amore». E se quest’ultima affermazione è facile da condividere, meno lo è la seconda, tanto allarmante quanto verosimile. Proseguendo in questa direzione, la scrittrice e psicologa ha affermato di essere «convinta che non si può soltanto odiare chi dimostra di conoscerci profondamente. Siamo sempre attratti da chi sa chi realmente siamo. C’è sia timore che attrazione. Se racconti i tuoi segreti a qualcuno, sei attratto da quella persona e al tempo stesso la odi». Perché confrontarci con ciò che veramente siamo è tutt’altro che semplice, quindi meglio velare lo specchio: «Freud per la prima volta ci ha svelato il nostro autoaccecamento, quando, cioè, scegliamo di chiudere gli occhi non solo verso l’esterno ma anche su ciò che abbiamo dentro. Per esempio, non vogliamo sapere quanto siamo aggressivi, quali sono i nostri desideri. Eitan Green è proprio quel caso: non vuole sapere cosa è in grado di fare in quelle circostanze». La paura di vedere davvero, però, non riguarda solo se stessi, ma anche l’altro, soprattutto nei rapporti di coppia. Dopo aver affermato che «continuare a vivere insieme è il lavoro più duro dell’amore», la scrittrice israeliana ha raccontato di aver «sempre cercato di capire se conosco davvero la persona che amo, se davvero voglio sapere tutto su di lei, conoscerla fino in fondo. Qualche volta non è che per continuare ad amarla voglio un po’ accecarmi? È lo stesso motivo per cui quasi tutti preferiscono fare l’amore al buio piuttosto che con la luce del sole: per preservare l’attrazione non è il caso di vedere tutto dell’altro». E in questo, comunque, siamo aiutati anche dal fatto che, già di suo, «l’amore accieca».
Il romanzo tocca anche il tema dei rifugiati e anche su questo Ayelet Gundar-Goshen ha espresso considerazioni tutt’altro che banali: «Nella discussione sui rifugiati, per la destra questi sono sempre una minaccia, un pericolo, per la sinistra sono sempre tutti buoni, tutti santi, tutti vittime. Ma sia “minaccia” e “pericolo” che “santo” sono parole superficiali, insufficienti a descrivere una persona. È più facile simpatizzare con chi è considerato un santo, un simbolo». Connesso a questo discorso quanto da lei affermato più tardi: «Per sopravvivere puoi giungere a fare cose di cui ti vergogni, che non penseresti mai di fare. Ecco perché molti sopravvissuti della Shoah tuttora tacciono sulle cose terribili che hanno fatto o che gli sono state fatte». E non dobbiamo pensare che questa parte oscura sia un prodotto di circostanze terribili quali il ritrovarsi rinchiusi in un campo di concentramento: «In ognuno di noi c’è una vita nascosta. Anche nelle persone più civili c’è un leone, un predatore, che crediamo di aver domato ma che ci sorprende, ci fa fare cose che non ci credevamo capaci di fare e ci fa dire “Non mi riconosco”, “Non sono stato io”. Come psicologa, scrittrice e lettrice, questa vita nascosta mi ha sempre attratta e la trovo una cosa eccezionale». Inquietante, ma effettivamente eccezionale, sì.