L’eredità di San Matteo e della Chiesa cattolica
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
La ultra millenaria storia della Chiesa Cristiana ci ha insegnato e ci insegna molte cose. Un impegno all’insegna della cristianità intesa nel senso della fratellanza, del volersi bene, anche se da quando esiste l’umanità (circa 107 miliardi di persone hanno fatto parte di questo mondo) il male, a mio avviso, ha sempre prevalso sul bene, sia da parte laica che dei rappresentanti della Chiesa. Constatazioni che è bene “rinverdire” non solo per i plurisecolari episodi di cronaca, ma anche per riportarci al concetto del “Credere” o meno (con rispetto per gli atei e gli agnostici) in una Esistenza Suprema, ovvero un Dio per tutti, senza distinzione e senza colore, sia pur nel rispetto delle diverse decine di Religioni in ogni modo sempre riconducibili all’unico Onnipotente Creatore. Le Sacre Scritture (Bibbia, Vangelo ed ogni altra “preziosa” testimonianza della sapienza esistenziale) ci tramandano messaggi ed inviti a considerare e a fare nostro il bene supremo che è la vita terrena sotto tutti gli aspetti: nella gioia e nel dolore, per il cui apprezzamento sarebbe sufficiente avere quel minimo di Fede che ognuno può manifestare a suo modo, ma senza trascurare l’insegnamento che ci è stato impartito con la universale ed esaustiva preghiera cristiana che è il Padre Nostro, che qui ripropongo per chi non la conoscesse.
«Padre nostro che sei nei cieli/sia santificato il tuo nome/venga il tuo regno/sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra/Dacci oggi il nostro pane quotidiano/e rimetti a noi i nostri debiti/come noi li rimettiamo ai nostri debitori/e non ci indurre in tentazione/ma liberaci dal male/Amen»
Testo usato da San Matteo (nella foto una rappresentazione del Caravaggio), brevi frasi per rivolgersi a Colui che un giorno, a noi ignoto in epoca e modalità, ci chiamerà al Suo cospetto per rendere conto del nostro operato terreno. Ma per quanto nobile, questa preghiera “pecca” di una incongruenza laddove afferma verso la fine con la frase… e non ci indurre in tentazione…, riferendosi sempre al Padre nostro. Tale incongruenza è in questi giorni oggetto di commenti da parte dei mass media, del mondo cattolico e soprattutto da parte del pontefice il quale afferma che tale frase non rispecchia la corretta traduzione. Già, perché mai Dio dovrebbe indurci a tentazione? E perché si è dovuti giungere al 266° Papa per avere un commento “correttivo” sulla frase oggi sotto la lente di ingrandimento? I precedenti rappresentanti la Chiesa Cattolica hanno volutamente soprasseduto oppure hanno peccato di ignoranza? Io credo, molto modestamente e da semplice cristiano credente, che non sia corretto fare il processo alle intenzioni con illazioni di alcun tipo, ma tale inosservanza merita ugualmente una riflessione poiché a ben interpretare prevale il senso della razionalità, ossia ogni tentazione umana non viene mai dall’Alto ma sempre dagli eredi dell’esistenza terrena. Quindi, sta a noi rivolgerci a quell’Ente Supremo che ciascuna religione definisce con un proprio nome od aggettivo, e con la massima umiltà chiedendo perdono poiché la morte di ogni Essere umano non estingue i peccati e gli errori commessi durante la propria esistenza. In sostanza, suggerirei che quella frase andrebbe sostituita con la seguente: «… e aiutaci a prevenire ogni tentazione…», solo così, a mio modesto avviso, avremo il conforto non di aver corretto la Chiesa ma il nostro modo di esprimere e di invocare per quello che crediamo di poter meritare.