L’evoluzione socio-culturale e politica della donna
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
La storia delle conquiste sociali e politiche delle donne è storia relativamente recente, per il cui riconoscimento hanno prima dovuto “subire” un ruolo subalterno. Una sorta di sottomissione, o comunque d’inferiorità, in quanto ritenute fisicamente e psicologicamente più deboli (e vulnerabili) tant’é che nel mondo occidentale solo alla fine del ‘700 è iniziato un lento e difficile processo di uguaglianza, e quindi presente nei diversi contesti socio-culturali e politici. Ne è un primo esempio la loro partecipazione alla Rivoluzione Francese del 1789, contribuendo alle lotte per il pane e alla evoluzione intellettuale. Tra queste la drammaturga francese Olympe de Gouges (1748-1793) che, nel 1791, scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, con l’intento di rendere consapevoli le donne dei diritti che venivano loro negati e di chiederne il riconoscimento quali cittadine a tutti gli effetti. Un’azione di “pre-conquista”, la sua, il cui impegno ebbe fine quando fu ghigliottinata lo stesso giorno di Maria Antonietta (3 novembre 1793) per essersi intromessa negli affari della Repubblica.
Fu questo un iniziale periodo di positività per le donne, lesivo invece quello relativo all’Impero napoleonico, che ne offuscò la loro dignità; una parentesi negativa ma non sufficiente per “osteggiare” l’emancipazione femminile a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sul nascere dell’evoluzione industriale in Inghilterra e conseguentemente nel resto dell’Europa. E fu proprio l’avvento dell’industria a coinvolgere la donna vedendola partecipe in diversi compiti e mansioni nel mondo della produzione, fino a quel momento prerogativa dei soli uomini. Anche il nostro Paese, tra l’Ottocento e il Novecento, contava la presenza delle donne nel mondo industriale, sia pur discriminate riguardo la retribuzione, ma da qui in poi, il percorso della emancipazione femminile è stato sempre più in salita. In particolare, dopo l’Unità, sorsero molte associazioni femminili soprattutto ad opera di donne cattoliche, socialiste e appartenenti alla borghesia con in prima fila la milanese Anna Maria Mozzoni (1837-1920), giornalista e attivista dei diritti civili, denunciando il divario esistente tra le innovazioni legislative e politiche, e le condizioni di totale emarginazione politica, come pure lo sfruttamento economico delle donne. Infatti, fu la prima emancipazionista che identificò nella questione femminile la base per la formazione di una democrazia compiuta, e lottò perché le donne potessero votare; inoltre, nel 1871 fu chiamata da Mazzini a collaborare a “La Roma del popolo”, giornale dove scrisse in quattro puntate l’articolo “Sulla emancipazione della donna in Italia”, che rappresenta uno dei documenti fondamentali dell’emancipazionismo. Fece seguito l’impegno della brianzola Giuditta Brambilla (1852-1931), prima organizzatrice di eventi sindacali delle masse femminili milanesi e fondatrice della prima Lega promotrice degli interessi femminili con Anna Maria Mozzoni. Fu contemporanea di Anna Kuliscioff (1855-1925), medico, giornalista e rivoluzionaria russa (naturalizzata italiana), tra i fondatori ed esponenti del Partito Socialista Italiano. Questa nostra “acquisita” connazionale vedeva la realtà femminile come una questione democratica, e identificava gli interessi delle donne con quelli della classe operaia. Ma un importante impulso alla emancipazione femminile in quegli stessi anni lo diede lo scrittore, patriota e politico pugliese Salvatore Morelli (1824-1880) a partire dal 1861, anno in cui pubblicò il saggio “La donna e la scienza”, con il quale invita le donne ad agire in quanto l’uguaglianza giuridica è una conquista. Propose inoltre una serie di disegni di legge riguardanti le garanzie giuridiche delle donne e dei fanciulli; ma anche inerenti il divorzio, l’elettorato femminile, l’accesso delle donne alle libere professioni e agli uffici, la parità dei diritti e doveri tra coniugi, l’abolizione della patria potestà, indagini per scoprire la paternità, il riconoscimento dei figli naturali.
Tralasciando gli sviluppi delle conquiste italiane sino ai giorni nostri, quale l’impegno delle donne in ambito internazionale? Sono molteplici gli esempi che occupano la gallery di personalità fortemente impegnate. Ne citerò alcune. L’attivista indiana Laxmi Agarwal (1990), che nel 2005 è stata aggredita con l’acido da un uomo di 32 anni che aveva respinto. Da quella esperienza ha sostenuto iniziative a difesa delle vittime di aggressione raccogliendo 27 mila firme da sottoporre alla Corte Suprema. La giovane Laxmi è direttore della Fondazione Chhanv, una ONG dedicata per aiutare i sopravvissuti di aggressioni con l’acido in India, ricevendo nel 2014 il Women International of Courage. La femminista e scrittrice giapponese Keiko Ochiai (1945), direttore di Crayon House, un negozio di libri specializzato in letteratura per l’infanzia e le donne. Oltre a pubblicare il saggio “Un cucchiaio di felicità”, storie di giovani donne che vivono nelle grandi città, sponsorizza le lezioni di autori, poeti, educatori, storici, etc. all’interno di un centro culturale, inteso anche come centro di rifugio per coloro che necessitano di un consiglio; un impegno che trova la forza nella sua personalità di docente con l’ambizione di vedere radicali cambiamenti nel suo Paese. Rima Nasser Tarazi è una delle forze politiche più influenti in Palestina, ma è anche uno dei suoi maggiori e più prolifici compositori, usando la musica (nel ruolo di cantante) come valvola di sfogo per le sue opinioni, tanto che in una intervista spiegò: «Le mie canzoni documentano la violenza contro il popolo palestinese ed esprimono i loro desideri più profondi e la determinazione per la giustizia e la pace». Anuradha Koirala (1949) è un’attivista nepalese, fondatrice e direttore di Maiti Nepal, una organizzazione non-profit in Nepal dedita ad aiutare le vittime dello sfruttamento sessuale. Gestisce un centro di riabilitazione a Kathmandu, dove le donne possono rimanere fino a quando non sono in grado di tornare alle loro abitazioni. Tra il 1993 e il 2011 l’organizzazione di Koirala ha contribuito a salvare e riabilitare oltre 12 mila donne e ragazze, e ricevendo alcuni importanti riconoscimenti dalle Autorità statunitensi.
La letteratura è ricca di altre figure biografiche ed autobiografiche, la cui menzione richiederebbe notevole spazio; ma credo che anche questi pochi esempi siano sufficienti per commemorare la Giornata internazionale della donna (IWD), che viene celebrata l’8 marzo di ogni anno dal 1913 e proclamata nel 1977 dall’Assemblea Generale dell’Onu, come il giorno per i diritti delle donne e la pace nel mondo, parte delle quali sono sparse sul Pianeta per lottare contro la violenza, e quindi per l’uguaglianza e il rispetto. Ma queste ed altre iniziative, note e meno note, sono sufficienti per ridurre quella immane “misoginia” che dovrebbe, ormai, appartenere ai secoli bui dell’Oscurantismo del XVIII secolo, e che poco ha insegnato alle successive generazioni? Si potrebbe rispondere con la sintesi di Jean-Baptiste Poquelin: 1622-1673 (Molière), ossia «Il buon diritto ha bisogno d’aiuto». Sempre!