A lezione da Domenico Starnone
Che Domenico Starnone fosse un “uomo di contenuti” lo davo quasi per scontato, ma non avendolo mai sentito parlare non immaginavo fosse anche così piacevole da ascoltare, simpatico e autoironico anche nel raccontare dei suoi affetti, dei suoi sogni e dei suoi ricordi più intimi e delicati. L’accoppiata con Massimo Cirri, al XXI Festivaletteratura di Mantova, si è rivelata poi particolarmente felice: il conduttore gli ha, infatti, lasciato ampio spazio, ma i suoi brevi interventi sono stati sempre puntuali e sagaci, contribuendo molto a rendere godibile l’incontro e a neutralizzare gli effetti del collasso post-prandiale (per gli amici “abbiocco”).
Titolo dell’incontro era “Un uomo dalle molte vite” e la prima che è stata raccontata è quella di insegnante, cominciata a metà degli anni ’60, periodo in cui – ha ricordato Starnone – soprattutto al Sud c’era ancora tanta arretratezza e le donne si trovavano in posizione molto subalterna. Iniziare a insegnare, poco dopo la laurea, fu quasi un salto nel buio e non furono poche le difficoltà, ma non perse la speranza: «Il momento bello, quasi commovente, era quando dai volti dei ragazzini spariva lo sguardo annoiato e si accendevano di interesse. Era gioia ma anche narcisismo: lo vedevo come un mio successo. È stata un’esperienza molto bella ma anche faticosa». Per lui questi 5 anni di insegnamento a Viggiano, in provincia di Potenza, sono stati «un’esperienza straordinariamente formativa»… e un insegnante che si dichiari felice di aver imparato qualcosa (e prima ancora sia stato consapevole di avere da imparare) per me parte già molto bene.
Fino a quel momento ciò che aveva sognato era fare carriera come scrittore, anzi, di più: «Volevo diventare il miglior scrittore, volevo competere con quelli della Bibbia!» ha detto ridendo del suo giovane sé. Cominciata questa avventura, tuttavia, si rese conto che «l’insegnamento era un perfetto sostituto della scrittura, della mia vocazione, perché entravi in aula e creavi mondi. E avevi già un pubblico… costretto ad ascoltare!» E ancora: «L’unica linea di comportamento per me era: non fare ai tuoi studenti quello che i tuoi professori hanno fatto a te. L’insegnamento per me somiglia alla scrittura perché dovevi entrare e costruire storie. In classe è come con i libri: se non create un clima capace di far venire fuori l’immaginazione e l’intelligenza, è come scrivere per niente. Sentivo la realizzazione di quella pulsione a scrivere e pubblicare libri, a diventare il più grande scrittore vivente». Cirri ha, quindi, ricordato che alcuni accostano l’idea di insegnamento di Starnone a quella di Don Milani, a cui l’interessato ha confermato di sentirsi vicino: «Nella sua “Lettera a una professoressa” ho trovato la mia stessa esperienza: enormi sforzi per uscire da un mondo dove si parlava solo il dialetto per crearmi una lingua: l’italiano. Allora c’erano due mondi: il mondo del dialetto e il mondo dell’italiano, che era il mondo della scuola» e quest’ultimo «detestava il dialetto perché – e forse aveva ragione – era d’ostacolo all’italiano».
Un’altra delle vite di Starnone è quella di giornalista, cominciata alla fine degli anni ‘70 con una collaborazione con “Il Manifesto”, nata per circostanze fortuite e grazie al fatto che questo giornale «era ispirato a una sorta di democratizzazione della scrittura». Una testata sicuramente all’avanguardia per i tempi, anche per il fatto che – ha fatto presente – nel 1985 già dotava la redazione di computer. In quel periodo cominciò a curare una rubrica narrativa (già questa di per sé una novità per il giornale) sulla scuola che ottenne subito attenzione. Molto divertito ha raccontato che – essendo lui ancora praticamente uno sconosciuto – ci fu chi cominciò a chiedersi se Domenico Starnone fosse lo pseudonimo di una più celebre firma. Al che Cirri ha infilato al volo uno dei suoi commenti arguti: «È una storia lunga questa…» E, mentre il pubblico ancora rideva, Starnone ha annunciato di voler fare la seguente dichiarazione: «IO. NON. SONO. ELENA. FERRANTE.». Per aiutarlo in questa “operazione smentita”, Cirri ha dunque invitato tutto il pubblico a ripetere la frase come un mantra, cosa che diligentemente e solidalmente abbiamo fatto. Chiusa la parentesi, Starnone ha raccontato ancora che la sua rubrica sulla scuola «ruppe i freni inibitori» in questo mondo e che gli procurò anche varie proposte per pubblicare libri sull’argomento. Lui, però, accettò solo l’offerta di Feltrinelli che – su suggerimento di Stefano Benni (eh sì, proprio Lupo!) – gli offrì di pubblicare un suo libro, dichiarando di non essere interessati al tema della scuola. Quindi, ricapitolando: insegnante, giornalista, scrittore e poi anche sceneggiatore per teatro e cinema. Tutte vite accomunate dall’amore per la cultura e per le storie, ma anche da un altro elemento da lui stesso rimarcato: «In tutto quello che vi ho raccontato prevale l’occasionalità».
Per quanto riguarda, in particolare, la sua vita da scrittore, Starnone ha chiarito che «tutti i libri che ho scritto non sono mai nati in nessun modo dall’idea che il libro dovesse essere scritto per forza. Li ho scritti come volevo; non ho mai messo un pizzico di lirismo o umorismo in più per accattivare il pubblico. Sono stato fortunato». Molto interessante poi il suo rapporto con la scrittura: «Io ritardo il più possibile il momento dello scrivere perché lo vedo come un momento di seduzione-punizione, come una gabbia molto piacevole. Quando comincio a scrivere, la scrittura mi assorbe totalmente e ho il terrore che questa cosa non vada avanti». Parole che mi hanno richiamato alla mente una frase pronunciata due giorni prima da Diego De Silva, durante l’incontro che l’ha visto protagonista con Marco Malvaldi: «Se, quando scrivi, ti interrompi, la storia se ne va». Dunque, per Starnone «lo scrivere è anche paura di fallire. Ma è un lavoro bello, piacevole e faticoso. È vero, però, come mi fu fatto notare, che andare in miniera è peggio!». Quanto alla “funzione” della letteratura, lo scrittore ha affermato di condividere l’idea di Kafka per cui «il libro deve essere una cosa che ci rivoluziona in maniera durissima l’esistenza. Non deve consolare: deve sconvolgerci. Con i libri si impara a vedere con occhiali che nessun ottico ci può fornire: ci mostrano un mondo che sta oltre la norma in cui viviamo». La scrittura, però, comporta anche qualche rischio: «Il bambino è come il pubblico: finita la storia, chiede “Ancora”. E questo, a volte, allo scrittore può far male perché il suo lettore continua a volere un tipo di storie quando lui ne scrive altre».
Infine, a chi dal pubblico gli chiedeva un consiglio su come instillare nei ragazzi l’amore per la lettura, Starnone ha risposto che «La parola scritta è un congegno strepitoso, formidabile. Se noi riusciamo a trasmettere la potenza della scrittura e quel senso di umanità che dovrebbe spingere a non farla morire, forse possiamo fare qualcosa per invogliare a leggere. Ma non so se la scuola è in grado, forse va fatto da subito». Certo è che bisogna provarci perché «i libri aiutano a vedere la potenza dell’esistenza. I libri aiutano a vivere. Il compito degli adulti non è convincerli: è mostrare ai ragazzi che la capacità di leggere la vita in tutta la sua potenza viene aumentata con la lettura». Poi, ricordando come grazie alle letture dei grandi classici, anche nelle scuole, personaggi del passato si materializzano davanti a noi in tutta la loro forza vitale, ha chiuso nel più degno dei modi l’incontro con «i lettori fanno risorgere!».