L’IPOCRISIA IMPRENDITORIALE PRIVATA E PUBBLICA SPESSO PENALIZZA LE FASCE DEBOLI: PERSONE DISABILI IN PRIMIS
Per adempiere i propri doveri nei confronti degli aventi bisogno non deve venir meno una coscienza etica. Ed è inutile “onorare” una ricorrenza annuale quando non si riesce ad imporre il rispetto delle Leggi : oggi chi non ha mangiato aveva ben poco da festeggiare
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Da tempo si mette in discussione la questione lavoro, ossia il problema della disoccupazione con tutte le conseguenze che ne derivano. Vari sono i settori coinvolti, soprattutto l’industria e il commercio, e talvolta per quest’ultimo settore i titolari lamentano che non trovano personale da assumere, e alcuni di loro non confermano l’entità della retribuzione e le modalità di assunzione unitamente alle mansioni, mentre altri in seguito vengono meno agli accordi intrapresi inizialmente. Inoltre, sembra essere eterno il problema dello sfruttamento (“caporalato”) degli stagionali nel settore dell’agricoltura in particolare, i cui “assunti” sarebbero in parte stranieri. Ma un’altra pecca da evidenziare è relativa al fatto che quando si parla di nuove assunzioni le aziende che si esprimono spontaneamente o previa intervista, non fanno alcun cenno se hanno assunto o intendono assumere persone affette da disabilità, come se queste persone, che sono esseri umani con potenzialità riconosciute, appartenessero ad un altro mondo, e il fatto di menzionarle sembra gettare una sorta di discredito all’immagine delle stesse aziende. È evidente che in Italia non si è ancora superata questa discriminazione che taluni ritengono essere un tabù, ma va precisato con veemenza che sono proprio le persone con disabilità (a volte anche non lievi) a dare il maggior esempio del proprio dovere, proprio perché hanno una dignità che determinati datori di lavoro privati, e anche taluni dirigenti delle P.A., invece non hanno. Chi scrive è esempio di “prova provata”, avendo vissuto direttamente un’esperienza negativa subὶta da parte di una notissima e storica azienda italiana S.P.A. (oggi estinta), la quale fu costretta per legge (allora era in vigore la n. 482 del 2/4/1968) ad assumere un certo numero di quelli che all’epoca erano definiti invalidi civili o categorie protette con “residue capacità” ma ugualmente efficienti e collocabili. Oggi, a distanza di anni, la situazione non è praticamente invariata anche se è stato aggiornato il provvedimento legislativo in merito con la Legge n. 68 del 12/3/1999, la quale prevede, appunto, che i datori di lavoro con più di 15 dipendenti al netto delle esclusioni, sono tenuti ad avere alle proprie dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette. Detto questo, va sottolineato che un Paese che si ritiene civile, emancipato e democratico come l’Italia non dovrebbe aver bisogno di emettere Leggi per “obbligare” datori di lavoro privati e P.A. ad assumere invalidi, mentre tale azione dovrebbe essere spontanea e rientrare nella normalità e quindi nella coscienza degli imprenditori. Inoltre, c’é da aggiungere che nonostante la Legge menzionata, il datore di lavoro (privato) che non intende assumere è tenuto a pagare una ammenda (200 euro) per ogni giorno di lavoro per mancata assunzione e, purtroppo, taluni preferiscono pagare l’ammenda piuttosto che assumere. A questi signori (in alcuni casi è riconosciuto il titolo di “Cavaliere del Lavoro”) che tanto credono di essere utili alla collettività (mentre sono soprattutto dediti ad incrementare sempre di più i loro profitti), vorrei rammentare che un giorno potrebbero essere loro stessi a dipendere da qualche invalido imprenditore… Quindi, volendo girare questo aspetto ai politici-governanti, peraltro non privi della stessa “insensibilità imprenditoriale”, prima di sollecitare gli elettori per essere votati, è bene che si facciano un esame di coscienza, rammentando il concetto di etica che ben poco conoscono e tanto meno mettono in pratica.
Chi scrive, per “compensare” umiliazioni e mobbing in epoca di dipendenza privata, rispolverando le proprie reminiscenze umanistiche nel contempo ha dovuto “inventarsi” una professione più consona che è il giornalismo, con l’estensione di alcune qualifiche (meritate sul campo) come quella di critico d’arte, critico letterario, giornalista medico-scientifico, e osservatore di tematiche sociali. Tale orientamento professionale, a differenza di altri, non mi ha appagato economicamente, ma di certo mi ha compensato nell’essere libero senza lacci e lacciuoli, e non c’è nulla di più gratificante che il poter ammettere con orgoglio: «povero ma libero», affermazione che trova riscontro nel mio adottato aforisma “Ubi libertas ibi Patria”. Cosa volere di più? E aggiungo un passo storico. Verso la fine degli ’60 a Torino i primi mutilatini (ventenni e diplomati) dimessi dal collegio Santa Maria ai Colli della Fondazione don Carlo Gnocchi, ebbero non poche difficoltà a trovare una collocazione professionale, e solo pochi casi furono assunti da qualche Istituto Bancario e da alcune P.A. locali… altri dovettero faticare non poco, forse perché non era ancora in vigore la Legge 482/1968, ma questo non giustificava il disinteresse imprenditoriale nei loro confronti. Ma vorrei fare ancora un’aggiunta: i mass media spesso danno risalto alle strabilianti performance di persone con disabilità che praticano lo sport, ma quasi mai citano quelle che esercitano (o sanno esercitare) una determinata professione con pari merito, se non di più. A chiosa del presente articolo rammento che il presidente della Repubblica nel corso nel suo insediamento, come riporta il periodico Missione Uomo della Fondazione Carlo Gnocchi (maggio 2015), tra l’altro, ebbe a dire: «… garantire la Costituzione significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità…, significa libertà, con pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva». Affermazioni queste, come altre dello stesso tono, emergono leggendo la Costituzione ma dalla quale non si evince alcun cenno sulla non applicazione di alcuni articoli in particolare. Allora, cosa dedurre? A mio modesto avviso finché i cittadini (tutti insieme ma individualmente) non lamenteranno per iscritto queste incongruenze da depositare agli atti, il nostro Paese andrà sempre più alla deriva. Un’ultima considerazione: anche quest’anno, come tutti gli anni passati, ad ogni 1° Maggio (Festa dei Lavoratori, ma non c’é nulla da festeggiare) stesse manifestazioni e discese in piazze, stessi slogan e stesse lamentele, ma nessun cambiamento nonostante le più diverse forme di Governo che si sono succedute, sindacali comprese: disoccupazione e precariato sono realtà destinate ad esistere! Infine, mai nessuna menzione viene fatta al mancato rispetto dell’obbligo di assunzione delle categorie protette. Se questa non è ipocrisia, che cos’é? Come sempre, l’ardua sentenza è lasciata ai posteri… ma anch’essi destinati a soccombere!