L’ITALIA DELL’IPOCRISIA AL COMANDO DI ILLUSI GOVERNATORI E ONOREVOLI
Rinunciare a tale nomina per molti di essi è come perdere lo scettro del potere
di Ernesto Bodini (giornalista e divukgatore di tematiche sociali)
Quanta ipocrisia mi si conceda affermare, che con un velo altrettanto ipocritamente si vuole (o si vorrebbe) coprire ogni volta che esponenti pubblici fanno capolino per dire, sentenziare e imporsi con la fatidica autorevolezza: «Siamo sempre noi al potere». È quanto mi è sembrato di recepire nei giorni scorsi al raduno a Torino di tutti i presidenti delle Regioni italiane, che pomposamente alla presenza del Capo dello Stato, si sono definiti “Governatori”. Un attributo, questo, che nulla ha che vedere con la realtà in quanto il termine più appropriato è Presidente e non Governatore. Questo vezzo, tipicamente versione Italy, è duro a morire, esattamente come quello dello sfruttatissimo ”Onorevole” che da molti anni è ritenuto desueto, come in più occasioni ho spiegato. Ma tornando al temine Governatore va ricordato che l’unico a potersi fregiare di tale titolo è il capo della Banca d’Italia; per il resto, non essendo l’Italia una Federazione, sarebbe opportuno e “intellettualmente onesto” non usarlo. Ma perché si insiste ad avvalersi di tali titoli? A mio avviso, sia perché i cittadini italiani (tolte le eccezioni) non sanno o non danno importanza a certi attributi, e sia perché i mass media non mancano di citare questo o quel politico anteponendo ambedue i termini al loro nome e cognome; quindi, l’ignoranza è propria anche di taluni giornalisti. Ma va anche rilevato che per la nostra cultura, ormai “soporifera”, non si dà più peso alla etimologia dei termini e tanto meno alla loro storia perché, se un tempo hanno avuto un’origine e significato, negli anni per una serie di “conseguenze e/o evoluzioni” i significati sono mutati; del resto la storia ci insegna che tutto nasce, tutto cresce e tutto o in parte si modifica. Inoltre, io credo che per il politico che assume un certo ruolo pubblico, specie se di potere, avvalersi di un termine come quelli su indicati ritiene di valorizzare maggiormente e al meglio la sua figura e anche le sue responsabilità (?); ma al tempo stesso non si rende conto che un termine desueto per sua natura è privo d’ogni valore ed efficacia e, il non accettare ciò, significa volersi imporre ulteriormente nei confronti di noi… sudditi. Ecco che, in non poche occasioni, alcuni pseudo governatori (si noti questa volta l’iniziale minuscola) si illudono di far parte di un “reame”, costituito sia dai loro elettori che da chi non intendono riconoscerli se non per “dovere” istituzionale a carattere puramente rappresentativo. Anche Socrate avrebbe avuto da ridire in tal senso, ma poiché era un filosofo (non moderno) preferì “subire” un certo dispotismo, ma non arrendersi nel far valere le sue ragioni (razionali e non solo filosofiche) pur accettando di bere con l’imposizione la cicuta. Rapportando questo esempio alla realtà dei nostri giorni, va ancora detto che in nessun Paese europeo, e anche oltre, i politici si fregiano dei due titoli e ciò significa che il dispotismo italiano non ha ancora avuto la sua sepoltura, specie se sostenuta da un ruolo di comando con la scusa della rappresentatività del popolo, e anche per questa ragione da noi gli ambiziosi al potere crescono come funghi, pur considerando (doverosamente) i pochissimi eletti che, forse, rinuncerebbero a tali appellativi ma, ovviamente restando al potere sino al riconoscimento del maturato vitalizio. In buona sintesi, è bene diffidare di chi ostenta tale tendenza… con la complicità dei mass media, e del fatto che appellarsi con i suddetti titoli non costituisce millantato e tanto meno reato. E rammentando ciò che sosteneva il cancelliere tedesco O. von Bismarck (1815-1898), ossia che «La politica rovina il carattere», la mia chiosa è la seguente: meno titoli e più umiltà, uguale uguaglianza e serenità.