Lo sguardo oltre l’incompiuto: la Pasqua cristiana
Potremmo anche non essere credenti ma l’icona del Cristo che ribalta il macigno sepolcrale, difficilmente ci lascia indifferenti. È arduo eludere quel brivido che ci attraversa l’anima allorché ci rispecchiamo in un traguardo che visceralmente ci appartiene.
E non solo in ragione di quel senso antico di indistruttibilità che portiamo dentro di noi e che ci rimanda ad una genesi divina. Ma perché quell’ evento afferma e conferma in noi molto di più ed altro. Un di più che sfugge ai canoni dell’evidenza o della speculazione razionale, ma che non è estraneo alla vita.
Inesplicato alla ragione ma congeniale alla fede.
Perché è la fede che rende acuto lo sguardo potenziato dall’amore.
È la fede che ce ne fa cogliere la portata universale ed esistenziale. La sua dimensione cosmologica ed antropologica. È la fede che legge nella resurrezione di Cristo il senso ultimo della sofferenza e della morte. E ne anticipa il riscatto e la fecondità. Ed è ancora la fede che annuncia un’eredità di grazia e di vita anche per chi non ha fede. Un dono insospettato anche per chi ha dimenticato la speranza.
«La fede è sostanza di cose sperate e convinzione di cose che non si vedono». Ebr 11,1
Il nostro problema è che ci siamo così abituati alle liturgie, alle iconografie ed alle parole per cui, troppo spesso, la resurrezione di Gesù di Nazareth rimane un evento sbiadito da duemila anni di storia o smarrito nei meandri delle nostre super sature quotidianità.
Eppure la Pasqua è l’evento per eccellenza per noi cristiani. Un fatto vitale. Fondamento e vertice della rivelazione al punto che:“Se Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”. 1 Cor15,14.
La Pasqua trascende culture, epoche e credi. È una certezza impressa nella trama stessa dell’umanità di ogni tempo e per sempre.
Cristo, resuscitato dal Padre, è promessa ed ingresso all’esistenza nuova.
Cristo è pegno di cieli nuovi e terra nuova.
Con la sua vittoria sulla morte è l’intera vicenda umana che in Lui valica i limiti del tempo e dello spazio. Così che non la fine ma la trasfigurazione è il destino dell’uomo amato e redento.
Qui non si tratta di fughe ingenue e consolatorie o di sminuire l’al di qua a pro dell’al di là.
Qui siamo di fronte ad una promessa. Una promessa fatta da Dio in Cristo.
Il mondo futuro cui aneliamo, lo sappiamo, è già qui. Pur velato esso si affaccia ed incalza come luce, come bellezza, come bontà, come eticità inscritta nella vita, nelle cose, nelle persone, nel mondo.
È una prospettiva che vive in noi come seme destinato a pienezza. Come aurora che matura la luce. Come gemito dell’anima che fiorisce in gioia.
La Pasqua è promessa di ciò che sta per compiersi. È anticipo e sigillo alla bellezza dell’universo futuro. È preparazione ad un convito di festa dell’intera famiglia umana.
È la ricapitolazione del mondo e del cosmo nell’armonia della Signoria di Dio.
In virtù di Cristo, il Figlio che ci ha resi figli e mediante il quale tutto è ricondotto al Padre.
Per la forza vivificante dello Spirito. La forza dell’amore.
E c’è ancora una rivelazione che ci viene dalla Pasqua.
I segni della passione del Signore Risorto, ci spalancano lo sguardo su una verità ulteriore e radicale.
È l’amore che ha resuscitato Cristo dalla morte. L’amore fino al dono della vita.
Ed è l’amore come valore supremo, superiore alla vita stessa, che ci è partecipato e richiesto come ragione e condizione per la pienezza di comunione e di destino con Cristo.
È l’amore che rende bella e abitabile e buona e meravigliosa la nostra terra e la famiglia umana. E la Pasqua ne è caparra e coronamento.
Ed è in quest’orizzonte che si rinnova e si avvera per noi credenti, la memoria viva e feconda della Pasqua di Gesù. E si riaccende la nostra pasqua.
È tempo di riappropriarcene. Di fare della Pasqua il centro ed il vertice irrinunciabile della nostra esistenza di risorti.
Di restituire respiro, vigore e gioia alla nostra fede.
Emanuela Verderosa