Lo spauracchio delle elezioni anticipate
Elezioni sì, elezioni no: questo il tema che, al momento, divide maggiormente i partiti italiani.
I finiani fanno finta di voler sostenere il governo Berlusconi ma, non essendo stupidi, sanno benissimo che, ormai, non si troverà più intesa sui temi importanti ossia si farebbe solo finta di governare. Qualcuno sostiene che la loro tattica sarà quella di attuare un lento logoramento del Cavaliere, sperando nel frattempo di rafforzare il proprio peso elettorale, ma Fini non è uno sprovveduto e dovrebbe sapere che la finta lealtà si paga alle urne quanto l’incoerenza. Per non parlare del fatto che i primi a trarre vantaggio dall’indebolimento di Berlusconi sarebbero l’odiato Bossi ed il suo branco.
Udc e Api non vogliono andare al voto e propongono formule varie, diverse nel nome (governo tecnico, governo di unità nazionale) ma non nella sostanza poiché si tratta sempre di entità create a tavolino per portare avanti le riforme, in primis quella della legge elettorale. Ossia propongono un inciucio dal sapore retrò che fa tanto Prima Repubblica e che, seppure non vietato dalla Costituzione, non è rispettoso – su questo ha ragione il Pdl – della volontà popolare, che ha scelto una determinata maggioranza, con una precisa conformazione politica ed un programma definito. Non solo: dal referendum del ’93 ad oggi gli elettori hanno dimostrato di essere favorevoli ad un sistema che permetta loro, seppure indirettamente, di individuare quali soggetti governeranno e chi li dovrà guidare. Dunque un ribaltone sarebbe una soluzione se non illegittima, piuttosto inopportuna e sicuramente inutile per il Paese: con gli attuali presupposti, un simile governo non potrebbe creare nulla di duraturo, nulla che possa fronteggiare le emergenze del momento (tra cui, peraltro, non si può certo includere la riforma elettorale). Il motivo per cui i due bellocci della politica (Rutelli e Casini)non vogliono andare alle urne, però, è fin troppo chiaro: devono prendere tempo perché sono ancora troppo pochi gli italiani che hanno nostalgia del “grande centro”.
Neppure Pd e Pdl vedono con favore le elezioni anticipate. I democratici fanno finta di non temerle, ma non riescono ad imbrogliare neppure se stessi. Sintomatico il botta e risposta di avantieri sera tra la Bindi e Mentana, nel corso dell’edizione serale del Tg di La7:
M.: «Bindi, siete pronti per le elezioni?»
B. (con tono squillante ed ilare): «Prontissimi!»
M. (pronto a ribattere) : «Allora chi sarà il vostro Premier?»
B.: «Beh, questo ancora non si sa.»
M. (tutto divertito): «Ma allora non siete pronti!»
Del resto, nonostante di tanto in tanto sembri il contrario, i vertici del Pd sono dotati di materia grigia per cui sono perfettamente consapevoli non solo che il loro è un partito in costante crisi di identità ed incapace di esprimere posizioni unitarie su qualunque tema, ma anche che, ad oggi, non esiste alcun partito con cui potersi alleare per creare una coalizione di governo che duri almeno due anni (parlare di intere legislature per i partiti del centrosinistra è fantascienza). Per non parlare poi, appunto, della scelta del candidato premier: allo spauracchio del voto anticipato, per Bersani e company (con questa sinistra annacquata, di compagni certo non si può parlare) si aggiunge quello delle primarie, da cui potrebbe uscire un nome (con molta probabilità Vendola) scomodo e per giunta esterno al partito.
Anche il Pdl, però, teme il responso delle urne, solo che Berlusconi ed i suoi , piuttosto che ammetterlo, preferirebbero animare la festa dell’Unità. Così tirano fuori la scusa del “dobbiamo continuare a lavorare per il Paese”, “dobbiamo restare qui perché è l’elettorato che lo vuole”, e battono sulla verifica dei numeri in Parlamento (raddoppiando gli scongiuri ora che Bossi ha dichiarato di star meditando sulla sfiducia). Ma perché il Pdl stavolta non è così certo di vincere? Ad esempio, perché è consapevole di non aver fatto così bene come dice, perché sa che la gestione personalistica del partito comincia ad infastidire una parte del suo elettorato tradizionale, perché sa che se anche la sua coalizione dovesse nuovamente essere eletta, la Lega sarebbe ancora più forte e diverrebbe impossibile tenerla a bada.
Gli unici a volere le elezioni sono, seppure per motivi diversi, l’Idv ed il Carroccio. Il primo, preoccupato dalla concorrenza che paradossalmente potrebbe fargli Futuro e libertà, ha un po’ raffreddato gli entusiasmi iniziali, ma non cambia idea perché, essendo un partito piccolo non ha molto da perdere (a differenza di Pd e Pdl): l’importante è liberarsi di Berlusconi, poi pazienza se non si è in grado di mettere su un governo che duri abbastanza da costruire qualcosa di buono … per non ridare lo scettro al “Nemico” dopo qualche mese. Ma che l’Idv non sia un partito di governo ormai è risaputo, visto i continui attacchi sferrati da Di Pietro alle istituzioni, attacchi molto spesso immotivati e soprattutto gravi perché pronunciati da uno che (sulla carta) è un uomo di legge.
Il Carroccio, invece, fa un po’ di dietro-front ma in realtà vuole le elezioni perché è l’unico partito che certamente trionferà. Difficilmente stravincerà, come sostengono i suoi leader, ma di sicuro vedrà aumentare ancora il proprio peso politico. E perché? Innanzitutto perché, ad oggi, la Lega è la forza politica più coerente. Perché i leghisti promettono al proprio elettorato ciò che esso desidera e, una volta eletti, si muovono per realizzare quelle promesse. Perché sono rozzi e questo piace a tanta gente (come dimostra il successo del trash in tv). Perché ogni tanto, tra una trovata xenofoba e l’altra, dicono anche cose vere, per cui anche qualche elettore dotato di senno si lascia conquistare. Comprensibile, ad esempio, che al Nord cresca il malcontento verso le regioni del Meridione, che non fanno nulla per diventare più efficienti e sprecare meno risorse pubbliche. Assolutamente condivisibile poi (tralasciando la bizzarra proposta di sciogliere solo una Camera, disastrosa per un sistema di bicameralismo perfetto come il nostro) la posizione assunta riguardo alla crisi politica che ha colpito il governo Berlusconi: forse esiste ancora una maggioranza formale (ossia in Parlamento esso dispone ancora dei numeri per andare avanti) ma di certo non esiste più una maggioranza sostanziale (ossia un gruppo coeso in grado di attuare il programma precedentemente concordato). Di fatto, dunque, l’unica strada percorribile sono le elezioni anticipate, sebbene lo stallo istituzionale che paralizzerà il Paese nei prossimi mesi non sia certo ciò di cui gli italiani hanno bisogno.
Marcella Onnis