Lo spirito musicale di Albert Schweitzer nella profonda interpretazione di Bach

Quando la musica è poesia

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Un’attività che occupò Albert Schweitzer (1875-1965) fin da bambino fu lo studio della musica. Era tradizione di famiglia il culto dell’arte dei suoni. Ma non solo per questo perché il giovane Albert ebbe dalla natura un’anima musicalmente sensibile, tant’è che la musica faceva parte delle sue doti spirituali. Nutriva una grande passione per l’organo dal quale sgorgò la venerazione  per Johann Sebastian Bach (1685-1750), il compositore della “Passione secondo San Matteo” che fu uno dei maestri della sua vita. «Seguivo con profonda emozione quei misteriosi suoni che si perdevano nella penombra della chiesa…», annotò in una delle sue autobiografie. Dalla tecnica per lo studio delle opere di Bach il giovane studioso alsaziano passò all’interpretazione, divenendone uno dei più competenti concertisti che mai siano esistiti. Oltre a dedicare la sua intera esistenza di medico e di predicatore alla cura e all’assistenza agli umili e diseredati del Gabon, passò all’interpretazione del compositore tedesco grazie anche alla sua formazione artistica che fu favorita dall’incontro con il noto compositore  Carlo Maria Widor, organista a San Sulpizio di Parigi. Questi invogliò Schweitzer a scrivere il saggio su Bach, la cui edizione in francese fu pubblicata nel 1905, e tre anni più tardi fu pubblicata in tedesco. Entrambi i volumi (il secondo con le sue 800 pagine è addirittura doppio del primo) ebbero vasta eco e attirarono l’attenzione dei critici.

Biografie su Bach non mancavano né in Francia né in Germania, ma lo studio di Schweitzer si distingue e si differenzia da tutti gli altri saggi. Più che un’opera biografica ed uno studio estetico, è una guida per l’interpretazione delle opere del grande maestro. Nonostante il suo rigoroso luteranesimo è noto che Bach fu uno dei più genuini rappresentanti del misticismo tedesco e come sublime espressione della religione egli non appartiene ad una confessione o ad un’altra bensì all’anima di tutta l’umanità. La sua arte è un messaggio al mondo, un invito al raccoglimento, alla spiritualità, all’interiorità. L’animo d’artista e profondamente religioso di Schweitzer era in grado di interpretare questo messaggio bachiano. Ed i due volumi, oltre ad essere uno studio biografico, critico, estetico, sono un inno alla pietà, al misticismo delle creazioni del grande compositore di Lipsia.

Il filosofo e teologo protestante, dopo aver trattato della storia della musica di Bach e degli autori che lo hanno preceduto in quel genere di composizioni, ne analizza le principali opere e cioè i mottetti, gli oratori, le messe, le cantate, le passioni, i corali e gli studi per clavicembalo e per organo. Bellissime pagine dedicate al linguaggio musicale di Bach, alla sua sintassi musicale, al suo simbolismo, a Bach poeta e pittore. L’opera di Schweitzer fu accolta dagli studiosi come un lavoro classico, indispensabile per la conoscenza di Bach, uno studio che sarebbe bastato da solo a dare fama duratura al suo autore. Ma Albert Schweitzer non si limitò a dare consigli per l’interpretazione del messaggio bachiano, ma ne diventò uno dei migliori interpreti. Non lasciava passare giorno senza suonare l’organo (il suo pezzo preferito era la “Toccata e fuga in Do minore”); inoltre, le tournées come concertista gli servirono anche a diffondere la conoscenza della sua opera umanitaria, ottenendo molti riconoscimenti in tutta Europa e lauti compensi che gli permisero di finanziare e portare a termine il suo villaggio dei lebbrosi, che venne inaugurato nel 1954 con il nome di “villaggio della luce”.

Nel corso della sua intensa attività musicale non mancarono le esecuzioni per le incisioni; inoltre si dedicò al recupero ed alla difesa degli organi antichi, gli unici, secondo Schweitzer, che siano in grado di “interpretare” fedelmente Bach, la musica del quale non richiede “effetti” speciali, bensì unicamente semplicità e linearità. «Gli organi antichi – sosteneva – non devono essere sostituiti per qualche difetto di meccanismo che possono avere; è necessario solo restaurarli onde conservare la ricchezza del suono che si sprigiona da quelle vetuste canne, da quei “giochi” ad ancia e da quelle “combinazioni”… La lotta per i buoni organi è un elemento per la verità». Infatti non risparmiò viaggi né lettere per salvare in Europa questi strumenti, orgoglio delle nostre chiese. Una perfetta conoscenza e una grande dedizione, tant’è che «in Africa – ebbero a dire i suoi amici – salva i negri, in Europa i vecchi organi…», sintetizzando anche questa sua non facile ed altrettanto meritoria attività umanitaria.

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