LO STRANO FENOMENO DELL’ANTI-MERITOCRAZIA MADE IN ITALY
Nelle professioni ma soprattutto nelle iniziative socio-culturali, anche non profit, il freelance che si autopropone appartiene alla sfera della non considerazione…
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Ogni volta che si parla di fenomeni, per quanto riguarda l’Italia, non si può non citare quello relativo alle intraprendenze, sia dal punto di vista professionale che del volontariato in genere. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che chi intende proporsi autonomamente come conferenziere o comunicatore sociale per questa o quella materia, di solito non viene considerato perché secondo la mentalità “distorta” italiana della comunicazione sociale, è maggiormente considerato colui che viene presentato e/o invitato da un Ente pubblico o associativo, o comunque da un “pigmalione” noto alla collettività. E questo perché? A tal riguardo ho ragione di sostenere il consistente modus operandi che chi si “autopropone” (anche a titolo non profit) vuole anche evidenziarsi e avere i riflettori tutti per sé; mentre a chi viene presentato da terzi si presume riconoscere maggior importanza e “credibilità” nei confronti del pubblico. A mio parere questo modo di concepire è mera ipocrisia, perché da noi vige quel concetto che si chiama assenza di meritocrazia, oltre ad un ulteriore opportunismo da parte di chi organizza l’evento ospitando il beniamino di turno. Quindi, due concezioni diverse per uno stesso fine, e non è detto che il cosiddetto indipendente che si autopropone valga meno; anzi in più occasioni si è visto che le “sponsorizzazioni” non costituiscono necessariamente una garanzia del soggetto da loro individuato. Questo esempio, per il vero, è ben poca cosa se consideriamo che l’assenza di meritocrazia made in Italia riguarda soprattutto i professionisti (nei vari ambiti) che, non essendo considerati come tali, fuggono all’estero dove le luci delle considerazioni (vere) e dei meriti sono più favorevoli illuminando l’accoglienza e il percorso dell’italiano esule. Ma lamentare tutto questo basta? Non proprio se vogliamo aggiungere che oggi sono sempre più in auge le differenze di genere, in particolare riferite alla donna che l’uomo vede come “rivale” più che come antagonista. Potrei fare molti altri esempi ma incorrerei nella retorica e non produrrei una corretta ed utile informazione. Questa che personalmente definisco “decrescita socio-culturale”, fotografa un Paese ancorato a vecchie concezioni che paradossalmente il progresso non ne ha mai favorito l’inversione, rigettando quasi sempre il concetto di meritocrazia; anche per questa ragione ritengo che la nostra è una realtà che non ci invidia nessuno, e che nessuno fa nulla per invertire la rotta. Inoltre, il paradosso è dato dal fatto che in Italia, come è noto, esistono migliaia di Associazioni, Movimenti, e vari Enti votati ad iniziative di qualunque genere ma, se non si è nessuno dal punto di vista della notorietà (anche a livello politico) o non si è presentati per tali, ogni personale iniziativa quasi sempre viene elusa… o comunque considerata in secondo piano. Ma se alla base della organizzazione c’è una presunta finalità benefica (specie se in denaro), allora è probabile che anche il “povero” freelance possa essere in qualche modo considerato. Non mancano poi i casi di ulteriori paradossi come il fatto di nominare un primo Cittadino presidente dell’anno, o riconoscere il Nobel per la Pace a presidenti nazionali; due esempi che non hanno ragione d’essere perché condurre nel bene e per il bene una Nazione è loro preciso dovere. Insomma, come può tornare comodo ripetere, sia pur metaforicamente: “C’est l‘argent qui fait la guerre”; e se il denaro non c’entra, prenderei a prestito quanto sosteneva il saggista e umanista inglese William Hazlitt (1778-1830), ossia: «Amare la libertà è amare gli altri, amare il potere è amare se stessi».