“Lost in translation”: perdersi nella traduzione per “ritrovar se stessi”
Lost in translation, you’ll find yourself, your world, your way. Perso nella traduzione, troverai te stesso, il tuo mondo, la tua via. Giocando con il suo titolo, ho provato a sintetizzare il piccolo miracolo che “Lost in translation” di Ella Frances Sanders riesce a compiere. Ma andiamo per ordine.
Per chi ancora non lo conoscesse, il libro presenta 50 parole provenienti da varie parti del mondo e intraducibili in altra lingua. Parole che indicano una condizione, uno stato d’animo, un qualcosa di particolare che, nella nostra lingua, potremmo esprimere solo con perifrasi, magari senza risultare neppure esaustivi e chiari.
Già l’idea di per sé è fantastica: fornire informazioni utili e dimostrare che la conoscenza di più lingue apre possibilità espressive sconfinate, perché dove non arriva l’una può arrivare l’altra. Senza considerare che conoscere una lingua va – o almeno dovrebbe andare – a braccetto con conoscere la cultura in cui essa è incardinata e il Paese in cui è parlata. E tutti abbiamo bisogno di ampliare i nostri orizzonti.
Ma non è solo per tale ragione che mi sono innamorata di questo libretto e che lo considero un po’ magico. Ella Frances Sanders è stata bravissima a spiegare il significato di queste intraducibili parole con begli esempi ed efficaci definizioni (ma lodi anche alla traduttrice Ilaria Piperno), come lo è stata ad accompagnarle con splendidi disegni (perché è anche illustratrice). L’edizione di Marcos y Marcos è poi un gioiellino anche sotto il profilo estetico. Ciò che più conta, però, è che l’autrice è riuscita a realizzare l’intento annunciato nell’introduzione, che così vi riassumo: farci ritrovare in queste pagine noi stessi o persone che fanno o hanno fatto parte della nostra vita, ma anche sensazioni, situazioni e luoghi, veri, immaginati, scordati… Così facendo, “Lost in translation” accarezza l’anima e aiuta a crescere, ragion per cui consiglio a tutti di acquistarlo (in cartaceo, ché in e-book perderebbe parte del suo pregio), di leggerlo e di tenerlo sempre a portata di mano per ripasso e per conforto o stimolo, secondo i casi.
E poiché le parole si impara a padroneggiarle solo usandole, vi propongo un gioco per memorizzare alcuni di questi vocaboli intraducibili (e talvolta impronunciabili): annotatevi quelle che, tra le 50 presentate nel libro, vi colpiscono di più, che sentite più “vostre” o più utili, e poi provate a inserirle in frasi, meglio ancora se unite a formare una storia o, comunque, un discorso organico. Io ci proverò e spero farete altrettanto; sarebbe bello, poi, confrontare i risultati.
Ottimo suggerimento