L’Uefa dice stop all’indebitamento
Anche i Mondiali 2010 volgono al termine e, a conti fatti, l’Europa può dirsi soddisfatta, nonostante le clamorose débacles dell’Italia e della Francia, seguite a ruota dall’Inghilterra: merito della Spagna, ma soprattutto della Germania e dell’Olanda che, sgominando squadroni strafavoriti e stratitolati come l’Argentina e il Brasile, hanno fatto sì che l’ago della bilancia – che pareva pendere inesorabilmente verso il Sudamerica – si orientasse d’un tratto verso il sempre più pesante piatto del Vecchio Continente.
Eppure, resta ai più la convinzione che il calcio europeo in generale – e quello italiano in particolare – non sia più quello di una volta, soprattutto a causa dell’irresponsabile comportamento finanziario dei club (spese eccessive, ingaggi gonfiati e stipendi stellari).
Lo pensa anche la UEFA, come dimostra l’approvazione delle nuove norme sul fair play finanziario, concertate – come ha sottolineato il presidente Michel Platini – con tutti i portatori di interesse nel calcio, al fine di riportare stabilità, sostenibilità finanziaria e un senso economico comune al calcio: il semplicissimo principio chiave è l’obbligo di pareggio del bilancio su un periodo di tre anni, in virtù del quale non si dovrà spendere ripetutamente più di quanto si guadagna; i club saranno obbligati a fornire le informazioni finanziarie all’Unione e il mancato rispetto delle regole darà luogo all’applicazione di sanzioni graduali, fino all’espulsione dalle competizioni UEFA. Dopo una fase di implementazione progressiva di tre anni – 2010, 2011 e 2012 – la nuova disciplina entrerà pienamente in vigore durante la stagione 2013/14.
L’obiettivo – va detto – non è punire i club ma aiutarli, migliorando gli standard finanziari nel calcio europeo: misure evidentemente improcrastinabili, alla luce dei dati raccolti dalla stessa UEFA nel 2008, dai quali si evince che il 47 % dei club hanno chiuso in perdita (con un debito complessivo pari a 578 milioni di euro per i soli club principali!) e che le maggiori spese sono imputabili agli stipendi dei calciatori (mediamente, circa il 65% degli introiti); e nel 2009 la situazione è andata peggiorando.
Ed allora, se ogni volta, al termine dei Mondiali, si parla già del nuovo campionato, quest’anno abbiamo un motivo in più per aspettarlo, sperando che – nonostante le norme in discorso non si applichino ai tornei nazionali, non di competenza UEFA – l’ondata di razionalità coinvolga anche le squadre italiane e le spinga magari a ridurre gli stipendi, senza che si debba arrivare ad imporre un vero e proprio tetto, come invece accade negli USA.
Silvia Onnis