Lutto nel mondo del giornalismo: muore Arnaldo Panascia
Da ieri il mondo del giornalismo è a lutto: ieri, infatti ci ha lasciati un grande giornalista siciliano, Arnaldo Panascia, che oggi avrebbe compiuto 59 anni. Autore di diversi reportage per la sede regionale siciliana della Rai, era da qualche mese gravemente ammalato. La nostra fotoreporter, Elisa Martorana, ha avuto l’onore di conoscere lui e la sua compagna, la fotografa Matilde Incorpora. “Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di essere testimone dell’amore tra lui e la sua donna- ci racconta Elisa- è stato un grande uomo e un professionista serio ed attento.
Tutta la redazione de Il Mio Giornale si stringe attorno al dolore della famiglia.
Giusy Chiello
Redattrice- giusy.chiello@ilmiogiornale.org
ci tengo a far conoscere una fantastica lettera, che un’amico di Arnaldo ha letto questa mattina hai funerali.
Sono tante le cose che si potrebbero e si dovrebbero dire di Arnaldo Panascia, ma a me piace sottolinearne soprattutto una.
Arnaldo Panascia era una persona per bene.
E mi piace ripeterlo.
Arnaldo Panascia era una persona per bene.
Che commovente eresia essere una persona per bene mentre spregiudicatezza e arrivismo dilagano, scompagnati da correttezza e talento.
Le persone per bene non sono ossessionate dai traguardi che devono tagliare, dagli obiettivi che si prefiggono.
Pensano a vivere, il più possibile con sobrietà, magari a tentoni, se ci riescono con gusto, aiutando chi gli sta vicino a non soccombere, facendosi aiutare quando temono di cedere alla stanchezza e allo scoramento.
Le persone per bene tendono a defilarsi dallo sgomitare corrente, che produce eserciti di sconfitti irrancoriti e frustrati.
Le persone per bene hanno lo stigma della sconfitta, se ne sentono in qualche modo predestinati, ma non ne fanno un dramma. Essere perditori per scelta non è la stessa cosa che essere dei perdenti. Il dramma non è perdere a un gioco senza verità e senza regole. Il dramma è vincere senza merito e senza lealtà.
Le persone per bene accettano questo loro “destino” con ironia e mansuetudine, che è raffinata sapienza di sé.
Arnaldo ed io ci conoscemmo alla fine degli anni Settanta, quando il terrorismo morente e mortifero degli anni di piombo stava cedendo il passo al craxismo incipiente e impudente degli anni della Milano da bere. Si stava transitando, in una perturbante complicità, dalla pacchianeria del cupo alla pacchianeria del fatuo. Dal tramonto di speranze, a un tempo insanguinate ed esangui, ad un alba di luccichii ingannevoli e volgari.
I primi vagiti di quella tragicomica apocalisse del costume civile e politico, di cui stiamo vivendo gli squallidi fasti, giunti, forse, in queste ore a un grottesco, malinconico e, temo, anche pericoloso epilogo.
Arnaldo ed io ci conoscemmo in quello strampalato e micidiale cambio d’epoca e non sapemmo fare di meglio che mettere in comune il nostro spaesamento, a volte con angoscia, a volte con arrendevole sarcasmo.
Uno spaesamento che, temo, duri da allora e il cui verosimile approdo sarà una vecchiaia stralunata e irridente, che Arnaldo – purtroppo o per fortuna, chissà – non farà in tempo a sperimentare.
In una Italia dozzinale oltre ogni più orrifica previsione, la morte ci ha impoverito, portandoci via un uomo così intimamente, istintivamente elegante.
La morte ha avuto una fretta indemoniata con Arnaldo, trattando la sua “pratica” con una rudezza e una sommarietà impressionanti.
Poche altre cose al modo riescono ad essere oscene come il dolore che si accanisce sul corpo e sull’anima. Eppure Arnaldo lo ha sopportato con una dignità, verrebbe da dire con una signorilità, fuori del comune, per amore della vita, per amore di quelli che amava e che probabilmente voleva proteggere dalla desolazione del suo venir meno.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, ha scritto Pavese.
In quello che è forse il suo gesto più rapace, la morte ha spento anche gli occhi di Arnaldo.
Chi può dimenticare quanto erano belli e affascinanti in quella loro speciale “fierezza senza alterigia”.
Il loro taglio da gatto sornione e guardingo, la densità misteriosa e multiforme del loro azzurro attinto direttamente dal mare, l’intensità del loro sguardo impastato di mitezza ed astuzia, la loro luce che sembrava giungere da distanze siderali.
La prima volta che scoprii quegli occhi fu 32 anni fa in Puglia, entrambi assunti da pochi mesi e spediti a farci le ossa nella cosiddetta sperimentazione che precedette l’inizio delle trasmissioni della Terza Rete.
Quando incrociai quello sguardo mi venne spontaneo chiedermi: ma che ci fa Charlotte Rampling sul lungomare di bari e perché ha cambiato sesso?
Quei suoi occhi incredibili, per anni li ha tenuti incollati al mirino della sua telecamera per raccontare il mondo, che nel frattempo gli consumava lo sguardo con la sua smisurata violenza, con la sua deludente banalità, con la sua occasionale bellezza.
Gli occhi, si, ma anche il sorriso.
Arnaldo non aveva semplicemente un sorriso solare, generoso, invitante, voluttuosamente aperto alla vita.
Aveva, per così dire, un sorriso dotato anche di una curiosa “profondità di campo”.
Quasi che dietro quello incaricato di occupare ufficialmente il proscenio, si acquattasse, nell’ombra, un altro sorriso, segreto, invisibile e ben più birichino.
Un sorriso fantasma, pronto a sgattaiolare all’esterno dalla deliziosa e maliziosa feritoia che si apriva tra i suoi incisivi, pera dar sfogo alla sua disincantata ironia.
Un’ironia quasi tecnica, quella strettamente indispensabile a prendere le giuste distanze dal mondo, a non pigliarlo troppo sul serio.
L’ironia del giudizioso, del sapiente smaliziato e dimesso, innamorato della sobrietà, ma disposto a farsi sedurre, senza calcoli e senza pavidità, dall’incantesimo dell’ebbrezza di vivere.
Un gesto d’amore verso l’esistenza, un lascito morale senza prediche da custodire gelosamente.
Ciao Arnaldo, che Madre Terra ti custodisca con amore.
Diego Bonsangue
Ciao Arnaldo, di te come non ricordare il sorriso e gli occhi, i tuoi improvvisi arrivi ad Adelfia su una Vespa “scassata”. Anni lontani, ma dolci, dorati e irripetibili, e voglio ricordarti così, presenza della mia vita passata e parte della mia storia. Ci rivedremo e canteremo di nuovo insieme … ne sono certa.
Vivien