Malavoglia, Scimeca ringiovanisce Verga col rap
Uscito lo scorso week-end in una quarantina di sale, Malavoglia di Pasquale Scimeca è un film molto particolare, personale, difficile da inserire in un genere prestabilito e singolare nella filmografia del regista Palermitano. Certamente da ascrivere al cinema di impegno, è una rilettura, non meno drammatica, dell’opera di Giovanni Verga, di cui però non rispetta la trama. Del romanzo appartenente al “Ciclo dei Vinti” viene mantenuta la famiglia molto povera di pescatori, la Casa del Nespolo, la Provvidenza, ovvero la barca con la quale tentare il riscatto dalla povertà, ma il plot è alterato dall’introduzione di alcuni temi contemporanei.
Cosi, il problema del lavoro giovanile, ma soprattutto quello molto sfaccettato dell’immigrazione, si amalgamano perfettamente al racconto verghiano sulla fiumana del progresso. Il risultato è il superamento del Verismo e del ruolo del fato e il tentativo di approdare a un’attualizzazione della vicenda dove la responsabilità del dolore provocato è diffusa. Uscendo dalle sale, il film potrebbe lasciare l’impressione di essere eccessivamente plumbeo, con le disgrazie a iosa che creano un effetto ‘sfiga’ troppo reiterato per colpire una sola famiglia.
Eppure, la cura formale del film (musiche folk di Alfio Antico, dialetto italianizzato, attori non professionisti) fa riflettere, tanto da spingere a confronti con La Terra Trema di Visconti, che lasceranno il tempo che trovano dal punto di vista stilistico (impareggiabile lo stile documentaristico del capolavoro neorealista), ma non lo fanno a livello di contenuti: la scelta di ambientare Malavoglia a Portopalo di Capo Passero (SR) indica l’esigenza di denunciare le condizioni di una determinata realtà geografica, e ciò, fortuitamente o consapevolmente, fa il paio con quanto fatto da Visconti ad Acitrezza (CT), nel 1948. Tre denunce, quelle di Verga, Visconti e Scimeca, che tentano di registrare tre realtà uguali e diverse della Sicilia, intervallate da una cinquantina d’anni ciascuna.
Una chiave interpretativa che il regista aveva scandagliato già con la rilettura di Rosso Malpelo (2007), denunciando lo sfruttamento del lavoro minorile. In quell’occasione, partecipando al progetto umanitario “Cento scuole adottano mille bambini” e devolvendo gli incassi del film in un conto della Banca Etica, Scimeca aveva mostrato un’urgenza di fare qualcosa che per molti è alla base del deragliamento di Malavoglia nel finale, col ribelle ‘Nntoni che fa il rap sui proverbi siciliani e si inventa la hit dell’estate (il film a questo punto offre inserti quasi musical), riscattando la Casa del Nespolo e le fortune della famiglia.
Finale coraggioso senza dubbio, ma che non abbiamo apprezzato, anche perché, fatto salvo il nobile intento di parlare ai giovani, sembra ambiguamente scisso tra l’esigenza di dare loro una speranza e quella di fare un’ultima critica: alla gioventù che anela al successo facile.
Andrea Anastasi