Mattone/ L’Imu farà calare i prezzi delle case del 20-50%
Nel giorno in cui il governo incassa la (scontata) fiducia alla Camera sul ddl delega sulla semplificazione fiscale, che introduce tra le altre imposte l’Imu al posto della vecchia Ici e prevede la riforma del catasto e delle relative rendite (destinate ad essere calcolate in base al valore di mercato, al metro quadro, dell’abitazione prendendo a riferimento i dati medi del triennio precedente la dichiarazione e non più in base al numero di vani dell’immobile), qualcuno inizia a chiedersi se oltre a rappresentare un onere dal punto di vista fiscale la nuova tassazione patrimoniale non possa avere un impatto negativo sul mercato immobiliare italiano.
Il rischio non può essere escluso, con buona pace di coloro che andavano auspicando una ripresa del mattone dopo un semestre di sostanziale stallo. Secondo il Censis, infatti, vi sarebbe il rischio di un ulteriore calo tra il 20% e il 50% dei prezzi delle case con l’entrata in vigore delle ultime novità legislative. Il perché è presto detto.
Se molte seconde case sono un bene d’investimento, la convenienza a investire o meno in esse non può che essere valutata in base al rendimento offerto, rendimento (legato agli affitti che possono essere riscossi) che al momento oscilla attorno al 2,7%-3% annuo sia pure con variazioni anche sensibili a seconda dell’età e del pregio dello stabile e della zona in cui è situato.
L’Imu sulle seconde case (7,6 per mille), salvo improbabili “sconti” applicati dai Comuni (la cui addizionale può variare dal -3 per mille al +3 per mille) entro fine anno, risulterà più pesante dell’Ici in misura variabile tra l’1,6 e il 4,6 per mille, ossia mediamente di uno 0,3% annuo. Il che significa che al netto della nuova imposizione il rendimento di un immobile si aggirerà mediamente attorno al 2,4%-2,7%. A chi già ha investito in immobili non resterà che fare buon viso a cattivo gioco in attesa di poter ritoccare all’insù gli affitti, ma chi vorrà investire in futuro potrebbe non trovare questo tasso interessante e pretendere di ottenere nuovamente un 2,7%-3% (come sinora).
In questo caso l’unico modo in cui un immobile potrà rendere nuovamente simili tassi è tramite un calo del prezzo d’acquisto in misura proporzionale al calo del rendimento ed essendo questo almeno del 10% come visto sopra, questa è il possibile ribasso dei prezzi che mediamente si registrerà nei prossimi mesi, col rischio naturalmente che la stretta sul credito (che rende i mutui più difficili da ottenere e comunque più costosi), il continuo deleveraging in atto nel settore privato e la cautela circa le prospettive dell’economia italiana pesino ulteriormente rendendo gli acquirenti meno propensi ad aprire i portafogli, obbligando i venditori a concedere ulteriori sconti anche superiori.
Chi non è convinto di simili previsioni obietta che il mercato si trova già da mesi sui minimi degli ultimi 10-12 anni, che in fasi di recessione i prezzi degli immobili (classificati come un asset “sicuro”) tendono a rimanere costanti e che per ora non si avverte l’immediata necessità di realizzo da parte di chi già ha investito nel mattone. Il rischio è però che anziché un crollo ci si trovi ad affrontare un’ulteriore prolungamento di una crisi ormai pluriennale, proprio mentre le imposte patrimoniali stanno aumentando e mentre la possibilità di avere ulteriori fonti di reddito vanno diminuendo per una parte crescente della popolazione italiana. Il che dovrebbe far suonare per lo meno qualche campanello d’allarme.
Luca Spoldi Affaritaliani.it