Messico: Altitudini, sobrietà e nostalgia di infinito
Un fascino austero traspare dalla porzione di orizzonte dinnanzi.
Il Sierro, così vicino da respirarne la presenza, ritaglia il suo netto profilo su un cielo di un celeste brioso ed intenso, restituendogli, al termine, l’aspetto di una bolla di vetro rovesciata. Poi, scivolando dall’alto con dissolta geometria di forme, si distende e si allarga fino a perdersi fra pascoli grami ed un sassoso greto di fiume sazio d’arsura e d’attesa. La vegetazione di pini e querce che l’abita e ricopre, tenacemente si abbarbica spingendosi ben oltre, determinata e rada, fin tra pareti a precipizio o anfratti inospitali dove moribonde radici penzolano da cenge frananti. Ma ciò che domina incontrastata sul Sierro è la nuda e grigia severità della pietra. Da ogni parte, enormi pareti rugose solcate da fenditure profonde e cavità inquietanti, si slanciano come guglie verso l’alto o si acquietano in solitudini oranti; lunghe bordure pietrose agili e leggiadre s’annodano a mo’ di rinforzo o si aggrumano in brulle terrazze e fortezze torreggianti su sproni inaccessibili; da ogni parte, ad ammaliare lo sguardo, enormi macigni gettati a caso o sovrapposti in improbabili equilibri e sagome allusive ed enigmatiche sulle quali l’immaginazione intravede e scolpisce. Spesso, al tramonto, un lucore sognante e rosato trasfigura e rianima il grigiore compulso e riarso dall’abbacinante luce diurna.
Dietro ed oltre le rime dei contorni montani addossati l’un l’altro per artificio visivo, un antico istinto rincorre altri mondi o insegue piste e sentieri sospesi tra cime ed abissi, per sfiatare in altre vie dirette -chissà dove- forse, tra altri sfiniti orizzonti o dimore arroccate di uomini dai cui visi e dai passi trasuda ancora memoria di tragedia e rinascita, ininterrotte.
L’ultima luce soffusa svela ed occulta, al contempo, la magia di un universo cangiante.
Aquile dalle grandi ali scure bordate di bianco, attardano voli guardinghi falcando velature brunite nell’aria.
Di fronte a me, sul lucido corrimano nero, un uccellino corteggia la sua preferita con movimenti rapidi e aggraziati, quasi frettolosi, e gorgheggiando con puntigliosa insistenza, reclama l’attenzione della sua adorata, sovranamente intenta a ripulirsi il dorso e le ali con pacata noncuranza.
La tarda deriva del giorno lentamente si va pacificando. Frotte di ragazze, navigando in sgargianti abiti rarámuri lunghi e scampanati, rientrano al convitto tra voci gaie e rincorse … abbai solitari e svagati di cani… un pennacchio sfuggente di fumo …una maschia risata persa tra case… passi radi e attoniti sulla strada asfaltata… note di fisarmonica galleggianti nell’aria… macchine che si disperdono tra inerpicate strade polverose o defilano a valle oltre il rio, rimestando la mota di residui rigagnoli…il leggero e gioioso passo di una suora che fa ritorno alla sua comunità abbracciando l’inseparabile chitarra… rade figure, qualche infermiere, ritardatari, si allontanano lasciando silenzioso, appena oltre la strada, l’ospedale-ambulatorio di zona.
Il crepuscolare chiarore sconfina e dissolve in fugace ventura. La notte appressa maestosamente benevola.
Sporgendo dalla sua aureola lattea, la luna riversa bronzea iridescenza sui tetti di lamiera di case basse ed aggruppate.
L’aria é un tepore morbido e intenso. Il silenzio totale. La quiete assoluta.
Un brivido complice di intesa ed attesa trascorre ed esalta.
In alto uno scenario si apre …un crescendo gioioso di stelle si affaccia e si svela … richiami di luce si incendiano, si rincorrono, s’inebriano di un chiacchierio contagioso e gioviale con ritmo incessante e sereno.
E’ un’orchestra di mondi. Armonia fatta di terra e di cielo. Sovranamente alta ed infimamente terragna. Conviviale e remota .… tonalità, colori, forme e nomi: Cassiopea, Orione, Orsa… un’epopea di uomini e dei gridata con potenza di amore e dolore fino al punto da penetrare il firmamento e lí rimanere… all’infinito… inesausta ed indelebile, sussurrata da stelle e pianeti … storia di uomini e donne, impastata di fango e di cielo, di bontà e crudeltà, terrore ed amore e ferocia e pena così laceranti da solcare i cieli e sforare gli abissi, per sempre…fino a quando l’inafferrabilità di un destino terrestre e divino, struggente e nostalgico, arderà nella carne e nel sangue degli uomini per brama di compiutezza promessa.
Storia indeclinabile ed immutabile. Primordiale e millenaria.
Ma non solo questo raccontano le stelle. Azzardano affinità di destino. Evocano esistenza e mistero. Il dilemma che da sempre afferra ed interpella il cuore degli uomini – dove sono? Perché sono? Per Chi sono?- acquista qui una valenza fascinata e persino fidente come a timido approdo, desiderio confuso, timorosa speranza e… e si scioglie in preghiera … e dilaga in certezza…
Mio Dio! E’ come stare nel cavo di una mano. In prima fila. Al sicuro. Nel cavo di una mano. Un’ospitale mano paterna che ti solleva in alto quanto basta per lasciar scivolare appena il cuore alla soglia dell’ignoto nel mentre una liturgia cosmica anima e diffonde bellezza e tripudio di vita. E noi … noi ne siamo parte. Parte restituita all’immagine primigenia… parte consapevole, stupenda ed irripetibile di questa creaturale coesistenza di mondi che sazia e rigenera di essenzialità ed infinito.
Lo Spirito di Dio riempie e dà vita. E’ grembo che custodisce e ricrea. La sua Sapienza rifulge nell’incommensurabile versatilità della vita. E l’universo intero lo sa. Ed esulta. Estasiato.
Lo spazio infinito è presenza. Il silenzio è mentore e voce. La sapienza ha sapore di dono e accoglienza. La vita si invera in amore e bellezza.
Il dilemma iniziale permane. Caos e cosmo coesistono. L’ambiguità radicale continuerà ancora ad avvelenare il cuore degli uomini.
Ma questa è la strada. Una strada aspra ed oscura. Ma che riconosce meta ed inizio…da quando Dio stesso cammina con gli uomini ed abita tra loro…
A questo allude, credo, la meraviglia accesa qui, in questo focolare amorevole e conflittuale, fragile e violento, inerme e prodigioso che è la terra che ci ospita. Da una postazione sollevata a 2200 metri nella Sierra Tarahumara. Si chiama Sisoguichi, piccolo consesso umano indomato al crocevia di rincorse montane dell’altopiano messicano, nello stato di Chihuahua, dove l’Alm (associazione laicale missionaria) ha ritenuto di mettersi a servizio della comunità promuovendo e sostenendo la scolarizzazione tra gli indigeni rarámuri e mestizos. Presenza resa possibile dall’attività previa e collaborativa della Onlus Fratelli dimenticati (… aduna fratelli ritrovati) che si occupa e si adopera, fruttuosamente ed encomiabilmente, di sostegno a distanza.
Emanuela Verderosa
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