Mobbing e stalking: resoconto di un convegno della CISL/FP torinese
Per far fronte a vessazioni e soprusi sul posto di lavoro, soprattutto in ambito sanitario, utili più informazione e coesione tra colleghi con l’appoggio dei propri referenti sindacali.
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Soprusi, maldicenze, molestie, diffamazioni, abusi, violenze e quant’altro ancora, sono gli ingredienti che dipingono il quadro di una società (in particolare in ambito lavorativo) che stenta a decollare verso quella che possiamo definire “etica del buon vivere e del buon cooperare”. Per un aggiornamento su questo fenomeno (quasi perpetuo) la CISL/FP – Area Metropolitana Torino e Canavese, ha organizzato nei giorni scorsi il convegno “Mobbing, stalking, molestie e altri conflitti nel lavoro”, che si è tenuto nell’aula magna dell’ospedale Molinette. Diversi gli interventi (che abbiamo seguito in parte) coordinati dai sindacalisti e operatori sanitari della Città della Salute e della Scienza (Molinette) Sebastiano Nicolosi (referente RSU), Mario Caserta (referente Cisl locale) e Tiziana Beraudi (presidente della Associazione Torinese Anti Stalking), seguiti da un folto pubblico.
La psicologa Eleonora Casi, nel sottolineare che anche il cinema da tempo si occupa di molestie e vessazioni sul posto di lavoro, ha ricordato che il mobbing è un insieme di comportamenti umilianti e vessatori spesso violenti da parte di superiori (mobbing verticale) o di colleghi (mobbing orizzontale) nei confronti di un lavoratore, soprattutto se prolungati nel tempo, lesivi alla dignità personale (e professionale), all’identità e autostima con ricadute sulla salute psico-fisica. «Il mobber, ossia l’autore del mobbing – ha spiegato – esercita un ruolo eccessivamente autoritario; e l’azione di bossing (mobbing strategico) è volta ad eliminare i soggetti scomodi, tattica che peraltro è attuata da non poche aziende. La vittima mobbizzata trova nella famiglia (soprattutto nella nostra cultura, ndr) aiuto e sostegno, ma se persiste il conflitto umiliante gli effetti ricadono anche su di essa, sino alla separazione dai congiunti». Poiché i conflitti patologici in ambito lavorativo non sono tuttavia una malattia, ma un “disturbo” all’interno dello stesso, cosa fare per prevenire o limitare tali eventi durante il rapporto di lavoro con i colleghi e i superiori? Secondo la psicologa è importante l’informazione, la divulgazione di tali esperienze e costituire una casistica per meglio contribuire allo studio del fenomeno, e in questo senso può essere utile l’opera del sindacato nel recepire le segnalazioni e monitorare i casi di volta in volta; inoltre la prevenzione per la sicurezza sul lavoro è compito dell’Azienda attraverso l’intervento della Medicina Legale; mentre il lavoratore può attivare o far parte di gruppi di lavoro al fine di fare coesione.
Altro problema è lo stalking occupazionale, una realtà al di fuori del mondo del lavoro. Lo stalker è colui (o colei) che perseguita una persona (solitamente donna) sino ad affliggerla causandole stati di paura e ansia tanto da compromettere la sua vita quotidiana. «Inizialmente – ha precisato Casi – il soggetto perseguitato si allarma, cerca di difendersi e di resistere per ritrovare il proprio equilibrio, ma quando non ce la fa entra in conflitto interiore, sia a livello emotivo che cognitivo, ma anche relazionale in quanto viene isolato (o tende ad isolarsi) e gli effetti sulla salute psico-fisica possono sfociare in ansia e depressione…».
Sul fronte giudiziario la problematica mobbing trova diversi riscontri “negativi” in quanto non mancano le criticità per quanto riguarda, ad esempio, il riconoscimento legale del mobbing: non esiste in Italia una legge per la esatta definizione di mobbing; per contro, diverse sono le Sentenze a riguardo e la prima è del Tribunale di Torino emessa nel 1999.
Successive sentenze hanno cercato di individuare le azioni persecutorie ponendo in evidenza verbi e azioni come prevaricare, mortificare, insultare, deprimere, perseguitare, etc. «Secondo la Giurisprudenza – ha spiegato l’avvocato Maria Di Massa – il mobbing diventa tale quando il conflitto fra le parti è sistematico e persistente nel tempo… Nel 2008 la Cassazione ha stabilito che la durata persecutoria deve essere almeno di tre mesi, e che sulla vittima deve esserci una pressione in crescendo sino a procurarle un danno fisico e/o psichico e lavorativo».
In Europa sono 12 milioni le persone coinvolte a vario titolo in situazioni di mobbing, di cui l’8% sono occupate, mentre in Italia sono il 4%. Percentuali per la verità sottostimate per il fatto che molti casi non vengono denunciati. «In Italia – ha proseguito il legale – i mobbizzati sembrano essere 1,5 milioni, soprattutto al nord e prevalentemente nell’ambito della Pubblica Amministrazione (72%); la denuncia è fatta soprattutto dalla donna (52%), mentre il livello di istruzione dei mobbizzati è in prevalenza medio-alto (52% diplomati, 24% laureati). Ma il fenomeno sta coinvolgendo sempre più il lavoratori di istruzione inferiore”. Ma quali i rimedi? Gli strumenti di mediazione all’interno delle aziende non mancano come il coinvolgimento dei referenti sindacali, ma se questi risultano vani e il lavoratore ritiene di essere vittima di mobbing può rivolgersi al giudice, ma deve esercitare l’onere delle prove, anche se purtroppo non è sempre facile dimostrare. «La Cassazione – ha spiegato l’avv. Di Massa – generalmente respinge le denunce di mobbing che non abbiano indicazioni precise e circostanziate: tempo e luogo delle persone coinvolte nei singoli episodi tali da formare il quadro istruttorio. Ma è altrettanto utile e importante avere dei testimoni il cui “contributo” è teso ad avvalorare la denuncia della vittima, anche se ciò non è sempre facile…; ed è anche indispensabile esibire certificazioni mediche che attestino eventuali danni alla salute fisica e/o psichica del mobbizzato-denunciante, ancor meglio della Medicina Legale al fine di dimostrare il nesso causale».
Il tema della tutela per molestie, diffamazione, abusi, violenza e stalking, fenomeni sociali, che ancora non trovano margini di contenimento e tanto meno di riduzione dei casi, è all’attenzione anche dell’Unione Europea e su di esso si è soffermato l’avvocato Flaviana Giorgi, rammentando la Raccomandazione della UE che intende garantire il principio di parità di trattamento fra uomini e donne sul posto di lavoro, attraverso la prevenzione di tutti quei comportamenti indesiderati e lesivi come la discriminazione e la intimidazione. «Quindi – ha precisato il legale – spetta allo stesso datore di lavoro, in sinergia con il sindacato rappresentante, garantire un ambiente di lavoro che non sia ostile alle maestranze». Prima di agire, secondo l’intendimento degli esperti, è consigliabile il “confronto diretto” tra il lavoratore mobbizzato e il datore di lavoro, magari in presenza del proprio delegato sindacale, al fine di esporre la realtà dei fatti e con essa il proprio pensiero e il diritto di critica per giungere ragionevolmente ad una definizione del problema ed evitare inutili e “gravose” sequele legali. E, a questo riguardo, fanno sapere i sindacalisti Caserta e Nicolosi, all’interno dell’Azienda ospedaliera Molinette da alcuni anni è aperto uno Sportello di ascolto per ricevere segnalazioni in merito a situazioni di mobbing ed altre vessazioni, per trovare conforto e magari la soluzione del proprio caso.
Ed è comunque difficile non riconoscere, oggi, la centralità delle donne quali protagoniste del cambiamento che sta caratterizzando il mondo del lavoro. Il problema, a detta degli estensori di una nota dei documenti del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro, oggi abolito), è fortemente avvertito anche dalle Istituzioni della UE che, con la loro azione, hanno contribuito non poco a sollecitare gli Stati membri ad attuare politiche dell’occupazione che non trascurassero gli aspetti più peculiari del lavoro delle donne.