NECESSITÀ E “CORAGGIO” DI AFFRONTARE LA PANDEMIA
Anche chi è ai vertici (politici-gestori) dovrebbe vivere sul campo prendendo visione diretta di una Sanità che non deve mettere in secondo piano i pazienti cosiddetti non covid
di Ernesto Bodini (giornalista divulgativo)
Indipendentemente dalla durata di questa pandemia bisogna tenere conto, in modo sistematico, dei molteplici effetti che si fanno sentire. E non sono soltanto quelli relativi ai quotidiani bollettini sui dati della evoluzione, come gli incalliti resistenti alle vaccinazioni (medici compresi: attaualmente secondo la Fnomceo sono 1.913 quelli sospesi dall’Albo professionale per mancata vaccinazione), ma anche a tutte quelle conseguenze che ne derivano sul piano sociale in genere e su quello sanitario in particolare. In quasi tutte le Regioni, ad esempio, le liste di attesa si allungano sempre di più tanto che, se non per motivi più che urgenti, non è possibile accedere alle cure in ospedale, e persino gli interventi programmati di oncologia sono rimandati ad oltranza… Da questo provvedimento pandemico le Regioni si sono affidate di gran lunga alla Sanità privata, in convezione e/o accreditamento e non. Sia ben inteso, tale “supporto” era già in corso prima della pandemia, ma in questi ultimi due anni potersi curare sta diventando un vero e proprio “lusso”, perché non sapendo quanto può durare (e sopportare) un’attesa per una indagine diagnostico-strumentale, determinate cure importanti o anche solo per una visita da questo o quello specialista in tempi ragionevolmente accettabili, non pochi pazienti sono “costretti” a rivolgersi al privato. È pur vero che alla luce dei fatti è una sorta di passo obbligato, ma è altrettanto vero che molti pazienti versano in condizioni economiche assai modeste, eppure proprio in ragione della loro sintomatologia o delle patologie croniche e importanti, hanno bisogno e diritto di fruire la necessaria assistenza del caso; e quelli che non sono abbienti si vedono costretti a rinunciare nell’ottenere una o più prestazioni. Va inoltre detto che all’attuale personale sanitario (medici e infermieri in particolare) si chiede spesso l’impossibile, e non mi risulta che soprattutto in questo periodo pandemico ci sia stata qualche rinuncia nel garantire l’assistenza, a cominciare dagli addetti al pronto soccorso e alla terapia intensiva: più volte noi giornalisti abbiamo descritto in modo più o meno “edulcorato” ma reale, le condizioni di stress di questi operatori oltre al rischio professionale che via via sia è andato intensificando. Ma sarebbe bene rivolgere la nostra attenzione anche su chi sta ai vertici per coordinare e gestire la Sanità, sia livello centrale che periferico. Solitamente è facile pontificare quando non si è direttamemte coinvolti e quindi ai comandi, ma chi assume tale ruolo, ossia i politici-gestori, non solo ha determinate responsabilità ma sarebbe opportuno che per valutare determinate situazioni scenda dal predellino della sua scrivania e, con molta umiltà, indossi un camice e cominci a visitare i reparti ospedalieri, e poi descriverne situazioni e sensazioni, tanto in presenza di pazienti covid che non covid. Ritengo che ciò non sia impossibile, osservando ovviamente tutte le precazioni del caso, in quanto vivere in diretta sul campo esperienze di questo tipo favorisce una maggiore obiettività… e non mi si dica che esista un possibile veto: per una buona causa umana e collettiva non esistono o non dovrebbero esistere ostacoli. Basta volerlo! Chi scrive non solo è stato paziente covid per circa un mese (prima della realizzazione dei vaccini), ma ha anche osservato e descritto su più testate tale esperienza, compreso l’esercizio degli operatori sanitari (inclusi gli Oss) ai quali dobbiamo non un semplice grazie in quanto in esercizio del loro dovere, ma più concretamente affermazioni di attestazione della loro professionalità e in più casi anche abnegazione che, a mio avviso, sono espressione di maggior valore.
Inoltre, tanto per onorare il concetto che consiste in “armiamoci e partiamo” (in contrasto a quello storico e deplorevole “armiamci e partite”), se fossi autorizzato (sotto la mia responsabilitò) sono disposto a tornare sul fronte in veste di osservatore-divulgatore anche in queste circostanze; forte anche del fatto che per circa sei lustri ho vissuto questa esperienza “sul campo”, ovviamente con le autorizzazioni di chi mi ha ospitato e di chi ne ha convalidato il consenso. Uno spontaneo contributo che, tra l’altro”, è pubblicato nel volume “Una sanità vissuta a tutto campo – Esperienze in ambito ospedaliero e territoriale del Piemonte raccontate dal un giornalista scientifico divulgativo” (pubblicazione priva di esigenze commerciali), non certo per trarne qualche merito, ma più obiettivamemte per onorare la scelta responsabile del mio dovere di comunicatore sociale, e precisamente per informare come e quanto la Sanità piemontese offre ogni giorno, con i pro e i contro. Ho conosciuto e imparato molto, come il superamento di imprevisti e difficoltà (anche burocratiche), compresi i particolari esiti positivi per i pazienti, e talvolta a ricaduta anche per i loro famigliari. Per queste ragioni sarebbe utile, ripeto, testimoniare queste realtà come anche quella “condizionata” dalla pandemia, vivendola in prima persona. Solo così il politico-gestore potrebbe rivedere (almeno in parte) le sue posizioni in fatto di organizzazione, gettando un occhio di riguardo anche verso i pazienti “non covid”, contribuendo alla definizione parziale o totale del loro status di pazienti… come tanti altri, senza costringerli a rivolgersi necessariamente alla sanità privata od, ancor peggio, rinunciare alle prestazioni di cui hanno bisogno… con le conseguenze che ne possono derivare.