Nomadelfia: la parola ai suoi ragazzi. Ultima puntata

Ma l’anomalia più anomala di tutte a Nomadelfia è questa: vi si respira ancora  don Zeno, malgrado siano trascorsi vent’anni dalla sua morte. Don Zeno aleggia  ancora nelle case, nei gruppi, nel lavoro in falegnameria, tra i campi, nelle  scuole. Don Zeno è con Dorotea, Miriam, Marco, Giovanni, Raffaele, Maria, Elena. Tra i  bambini, i ragazzi, le mamme e i papà di vocazione. E’ nel servizio delle donne ai tavoli, in cucina, o tra gli uomini ai lavori edili. E’ nel racconto dei più  grandi con i piccoli che ascoltano attenti. E’ nel sorriso di Zeno, che ha
avuto il “peso” del suo nome da portare con la leggerezza dei vent’anni. E’ nel
linguaggio della comunità, che ha un proprio lessico e tramanda un messaggio
importante e fortemente anomalo, se trasposto nel nostro contesto sociale
attuale: l’amore per i figli non guarda al DNA. E’ amore e basta. Insomma
Nomadelfia va avanti, vivendo dell’essenziale, autogestendo le sue
risorse, in attesa della Provvidenza per tutto il resto, sempre seguendo gli
insegnamenti del suo fondatore. Per questo a chi “viene da fuori” Nomadelfia
sembra ferma nel tempo, ferma a quel lontano 1954, anno del suo insediamento
nella tenuta di Rosellana. Ferma, ma non fuori del tempo. Un anacronismo, il
suo, di scelta ampiamente condivisa, sulla traccia di un uomo che le ha
dedicato la vita. Un’altra sostanziale anomalia di questa piccola, grande
città, che nel centenario della nascita del suo fondatore, il 18 giugno 2000, ha
ottenuto dalla S. Sede l’approvazione definitiva della sua Costituzione.

La parola ai ragazzi di Nomadelfia

“Noi ci sentiamo molto legati a tutti gli adulti qui, anche se non sono i nostri genitori naturali, abbiamo un’educazione che chiamiamo in solido cioè tutti i genitori sono parte educante dei figli. Questa cosa fuori si è un po’ persa, secondo me” spiega Zeno, il sorriso nel cuore, prima che sulle labbra e il “peso” di un nome da portare con la leggerezza dei vent’anni.” – E con l’amore come la mettiamo?- “…

Miriam è in 4° elementare

Marco

“Pane e cioccolata, le merendine, qui le mangiate? ” Se la Provvidenza le manda” risponde con un sorriso Maria, una delle bambine più piccole.

Elena è sposata con un “figlio di Nomadelfia”, arrivata a 2 anni con la madre e un fratello, in un momento di difficoltà, è rimasta, scegliendo di essere una madre di vocazione.

“Come si fa a differenziare un figlio da biologico o no, sono figli e basta” spiega.

Ma c’è stato un momento particolarmente bello da quando lei ha fatto questa scelta

? “Ce ne sono stati tanti, anche quelli con sofferenza , con il senno di poi hanno avuto la loro motivazione, che mi ha fatto capire che siamo parti di un percorso che è la vita.” – Ma secondo lei i suoi figli non provano disagio nel rapportarsi con l’esterno?– “Dipende un po’ dall’età, quando sono più piccoli, no, poi quando crescono un po’ di disagio lo provano, vanno accompagnati soprattutto se decidono di andare a vivere da soli, lontano da Nomadelfia, come accade nelle famiglie”. “Da quali realtà e città arrivano i bambini?” Il passaggio è assistenza sociale tribunale e arrivano da tutta Italia, quelli della Toscana, sono inviati dal tribunale dei minori di Firenze. Arrivano da varie situazioni familiari disagiate. La nostra tendenza preferenziale è quella di prendere i ragazzi in affido, perché in questo modo ti fai carico anche dei genitori, che vengono a trovare i bambini e il lavoro per noi è molto più complesso. Ciò non esclude, comunque, casi di adottabilità qui a Nomadelfia o di reinserimento nelle famiglie di origine.: Vivere a Nomadelfia è bello perché sei circondato da amici e dalla fraternità. E poi a chi piace leggere può farlo. Ed io amo molto leggere.”, racconta “Vivere a Nomadelfia è una cosa diversa da fuori, giochiamo di più, leggiamo, inventiamo le cose e la tv la guardiamo di meno. Ma vivere a Nomadelfia per me è meglio”.

Francesca Lippi

ilmiogiornale@infinito.it

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