Perché leggere “Olive comprese” di Andrea Vitali
Nella mente dei lettori, il lago di Como probabilmente resterà sempre legato al soporifero incipit de “I promessi sposi” (“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte …”), ma se mai da questa “inquadratura” riuscirà ad emanciparsi sarà grazie ad Andrea Vitali.
Uno stile, il suo, lontano anni luce da quello manzoniano: privo di fronzoli, fatto di un linguaggio concreto ed efficace, che con poche parole condite con grande senso dell’umorismo ed arguti sottintesi riesce a dire tutto, ma proprio tutto.
A conquistargli la stima anche di chi non predilige questo stile contribuisce sicuramente una straordinaria abilità narrativa, che mantiene su di giri l’attenzione del lettore dalla prima fino all’ultima pagina. Non si spaventino quindi quelli che non amano i grossi tomi: divorerete le prime cento pagine di “Olive comprese” come fossero un aperitivo sfizioso – olive stesse o patatine, se preferite – e arrivati a quel punto ne vorrete ancora, perché la curiosità di sapere cosa accadrà dopo non vi abbandonerà fino alla fine. Sì, perché ogni capitolo preannuncia un nuovo segreto o importante evento e mentre aspetterete di scoprirlo, sarete piacevolmente intrattenuti dalle vicende “secondarie” di questa folta schiera di personaggi nella cui psicologia Vitali vi permetterà di entrare con poche ma dense pennellate.
È questo un romanzo a dimensione comunitaria, dove a nessuno è assegnato il ruolo di protagonista e dove non ci sono eroi né antieroi, ma solo uomini comuni, con le stranezze, i difetti e i pregi che abbiamo tutti e che per questo (a parte poche eccezioni) si conquistano subito la simpatia del lettore.
Altro pregio dell’opera, connesso a questa caratteristica, è la capacità di fornire un’idea esaustiva di quella che è “l’italianità”: nonostante la precisa ambientazione geografica e storica (Bellano ai tempi del fascismo), in queste pagine è infatti impossibile non rivedere gli italiani del Nord come quelli del Sud, gli italiani di ieri come quelli di oggi.
Se, però, questo libro fosse un farmaco, sul bugiardino sicuramente scriverebbero “Sconsigliato ad animalisti e perbenisti: i primi potrebbero avvertire nausea e vertigini fin dalla prima dose, i secondi potrebbero manifestare reazioni allergiche anche dopo un breve utilizzo.” Insomma, per gli uni e gli altri è alto il rischio di non gustarne lo spirito goliardico (che un po’ fa pensare alle storie cantate da Davide Van de Sfroos, lariano doc come Vitali) e di non scoppiare in una grassa risata nello scoprire (ben oltre la metà del libro) il significato di questo breve ed enigmatico titolo.
Qualcuno forse si chiederà perché mi sia soffermata su un romanzo relativamente datato di questo abilissimo narratore anziché parlare della sua ultima fatica, “La leggenda del morto contento”. Ebbene, i motivi sono tre:
1) ancora non l’ho letto;
2) questa scelta mi dà la certezza che se anche le mie parole non saranno state interessanti, se non altro saranno state utili perché avranno riportato la vostra attenzione su un libro “vecchio”, mentre quasi tutti gli altri vi staranno tentando con le novità del mercato letterario;
3) se un libro vale, ogni momento è quello giusto per leggerlo e quindi anche per parlarne. E su questo concorderanno certamente tutti coloro che tra voi, quando vanno in libreria, non si fermano allo scaffale delle novità ma si fanno un bel giretto in tutti i reparti.
Marcella Onnis – redattrice